(Foto ANSA/SIR)

Daniele Rocchi

Il 22 ottobre scorso avrebbe dovuto festeggiare i suoi primi 70 anni di vita e di missione, ma l’attacco terroristico, un mese fa, di Hamas a Israele e il conseguente scoppio della oramai detta ‘guerra del Sukkot’, ha costretto a rimandare tutto. E non si sa per quanto. Il Caritas Baby Hospital di Betlemme (Cbh), l’unico ospedale pediatrico della Cisgiordania che cura e fornisce assistenza a neonati e bambini fino a 16 anni, sta risentendo in maniera grave della situazione di tensione e di scontro che sta diventando molto critica anche nell’area di Betlemme e in tutta la Cisgiordania.

Cisgiordania: i numeri della violenza. Sono i numeri a descrivere la gravità del momento. Secondo Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, dal 7 ottobre, in Cisgiordania 150 palestinesi, tra cui 44 bambini, sono stati uccisi dalle forze israeliane. Tre israeliani sono stati uccisi in attacchi da parte di palestinesi. Il numero di palestinesi uccisi in Cisgiordania dallo scoppio della guerra rappresenta oltre un terzo di tutte le vittime palestinesi in Cisgiordania nel 2023 (397). Dal 7 ottobre, le forze israeliane hanno ferito 2.375 palestinesi, tra cui almeno 251 bambini, mentre gli attacchi dei coloni sono stati 218 con oltre 60 feriti. In quasi la metà degli incidenti, le forze israeliane hanno accompagnato o sostenuto attivamente i coloni che nei loro attacchi spesso impediscono la raccolta delle olive ai palestinesi, privandoli del relativo guadagno. Ancora ieri 11 palestinesi sono stati feriti in scontri con l’esercito israeliano vicino Betlemme.

Cure in emergenza. Nonostante ciò il personale del Cbh continua a lavorare anche se in emergenza gestendo i servizi sanitari e sociali. Ad oggi, spiegano dall’ospedale, “il primo ostacolo della popolazione è il divieto di movimento. La vita della popolazione palestinese in Cisgiordania si svolge sotto un complesso sistema amministrativo stabilito unilateralmente dallo stato di Israele. Subito dopo l’orribile attentato di Hamas e del terrorismo islamico contro il popolo di Israele,

il governo israeliano ha proclamato lo stato di guerra e imposto sul territorio cisgiordano due misure di controllo che coinvolgono anche Betlemme: il coprifuoco e il divieto a muoversi al di fuori del proprio comune di residenza

e che vale anche per la residenza nelle frazioni, che per la città di Betlemme sono numerose”. Inoltre, aggiungono dal Cbh, “sono state imposte la chiusura di numerose attività commerciali e negozi, come anche delle scuole. Queste forti restrizioni alla libertà di movimento rendono molto difficile, se non impossibile in non pochi casi, raggiungere il Caritas Baby Hospital, che con i suoi 82 posti letto, l’unità di Terapia intensiva e il poliambulatorio, rappresenta un punto di riferimento per le famiglie di decine di comuni della regione”.

(Foto AFP/SIR)

Le aggressioni dei coloni. Altro ostacolo per la popolazione palestinese è rappresentato, denunciano dall’ospedale pediatrico, dai coloni israeliani che “hanno intensificato i loro attacchi contro i palestinesi. Dal 7 ottobre i coloni hanno ucciso oltre 100 palestinesi, quasi sempre nell’ambito di azioni punitive verso la popolazione civile che abita nei villaggi. Anche nelle frazioni di Betlemme le aggressioni si stanno moltiplicando”.

“Tutto questo genera un grande stato di paura e allarme, che induce le persone a non uscire di casa, anche quando si tratta della salute dei propri figli”.

Povertà in aumento. Alle difficoltà di spostamento si aggiungono quelle economiche e materiali. Attualmente la Cisgiordania “è sigillata”. I turisti e pellegrini che rappresentano la maggior parte dell’indotto di Betlemme, dove oltre il 90% del lavoro si svolge in ambito turistico, sono andati via subito dopo lo scoppio della guerra. Inoltre, aggiungono dal Cbh, “tutti i trasporti verso e fuori la Cisgiordania sono bloccati, così come i trasporti tra città e città. Questo comporta una crescente difficoltà nel reperire ogni genere di beni, inclusi quelli prodotti localmente. Il peso psicologico di questo immiserimento è grandissimo”.

(Foto Caritas Baby Hospital)

L’impegno del Cbh. Da questa situazione di grave crisi non sono esclusi i medici e il personale dell’ospedale pediatrico (230 operatori, ndr.) che hanno “la difficoltà di non potersi spostare al di fuori del comune di residenza, e questo impedisce a parte di essi di raggiungere il luogo di lavoro. Tuttavia, – precisano dal Cbh – chi tra personale medico e infermieristico può recarsi a lavoro, è sempre pronto a prestare il proprio servizio a ogni piccolo paziente che si presenta alle porte del nosocomio. L’affluenza è altalenante, da giorni di forte afflusso, si passa a giornate in cui il servizio si attesta attorno al 20% delle capacità ordinarie dell’ospedale”. Ci sono però bambine e bambini che hanno assoluto bisogno di cure: “Sono – dicono dall’ospedale – quelli con malattie croniche che necessitano di terapie continue e programmate, così come quelli che presentano quadri clinici gravi e che vanno perciò seguiti con attrezzature e farmaci adeguati”. In questo scenario, il personale ospedaliero ha trovato alcune modalità “efficaci e professionali” di essere accanto ai bambini, nonostante tutto: “è stata attivata 24 ore su 24 una linea telefonica gratuita per consultare direttamente i medici sulla salute dei propri figli o per avere supporto psicologico; i servizi sociali dell’ospedale stanno contattando tutte le famiglie dei piccoli pazienti cronici per garantirgli i farmaci di cui hanno bisogno. La consegna dei farmaci a domicilio, nelle zone fuori Betlemme è possibile grazie alla rete di contatti e collegamenti che il Caritas Baby Hospital ha costruito nel tempo; il personale dell’ospedale esegue a Betlemme, e nelle strettissime vicinanze, visite a domicilio con auto-ambulanze e ambulanze, per raggiungere i bambini che hanno bisogno di un supporto medico specialistico; si è provveduto a potenziare le riserve di medicinali, di presidi medici e di gasolio, in modo che tutti i reparti siano sempre pronti ad accogliere i bambini, sia per visite ambulatoriali semplici, che per casi critici e di terapia intensiva”.

(Foto Caritas Baby hospital)

L’appello. Una fonte di speranza, forse l’unica al momento, è la solidarietà di tanti benefattori che continuano a far arrivare il loro aiuto, perché, sottolineano dal nosocomio, “nonostante tutto, i trasferimenti bancari internazionali funzionano normalmente, così come l’accredito degli stipendi al personale”. Da qui l’appello del Cbh a continuare a dare sostegno alla struttura che è gestita dall’associazione svizzera Kinderhilfe Bethlehem e finanziata con donazioni che giungono in particolare da Svizzera, Germania, Italia, Austria e Gran Bretagna. In Italia è molto attiva, nella raccolta fondi, l’associazione Aiuto Bambini Betlemme.

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