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Cure palliative. Cittadini e medici sempre più informati

foto Vidas

Giovanna Pasqualin Traversa

Cure palliative, non più queste sconosciute. Negli ultimi dieci anni è aumentata la consapevolezza sulle cure palliative: se nel 2011 il 41% dei nostri connazionali non ne aveva mai sentito parlare, oggi questa percentuale si è ridotta al 6%. La maggior parte di medici di medicina generale (Mmg) e specialisti si ritiene informata sul tema, mentre tra i pediatri solo uno su tre dichiara di esserlo. E’, in estrema sintesi, la fotografia scattata dallo studio Italiani e cure palliative: quanto ne sappiamo?, realizzato da Ipsos per Vidas – organizzazione di volontariato da 40 anni impegnata nell’assistenza gratuita dei malati inguaribili, adulti e bambini, assistendone ogni anno oltre 2.200 – in collaborazione con la Federazione cure palliative e con il contributo della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti. La duplice indagine – 1.501 interviste presso un campione rappresentativo di adulti tra 18 e 75 anni per quanto riguarda i cittadini; 920 interviste presso un campione rappresentativo di medici territoriali e ospedalieri ambulatoriali in Italia per quanto riguarda i clinici – è stata presentata all’Università degli studi di Milano, sede della Scuola di specializzazione in Medicina e cure palliative, in occasione della Giornata nazionale delle cure palliative che ricorre l’11 novembre.

Sul territorio. Introdotte in Italia dalla legge n. 38 del 15 marzo 2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” – il loro fine non è guarire, ma alleviare la sofferenza del malato, migliorarne il più possibile la qualità di vita e sostenerne la famiglia. Possono essere somministrate a domicilio, in ambulatorio o in hospice. Secondo un rapporto di Agenas del 2022,

nel nostro Paese si contano 307 hospice, di cui 7 pediatrici.

Il numero maggiore (73) in Lombardia, seguita da Lazio (31) e Veneto (25). La PA di Bolzano conta solo due strutture; Molise e Valle d’Aosta uno.

Il punto di vista dei cittadini. Oggi, rispetto ad una precedente indagine del 2011,

otto italiani su dieci sanno che le cure palliative sono un diritto e devono essere erogate gratuitamente, ma il 57% non ha idea se siano attive sul proprio territorio.

Il 54% afferma di sapere bene o abbastanza bene di cosa si tratti, ma il 18% le ritiene sinonimo di terapie inutili, o “naturali”, o alternative alla medicina tradizionale. È comunque sempre più diffusa la convinzione (86%) che queste cure si occupino di migliorare la qualità della vita di persone gravemente malate e delle loro famiglie. Il 41% dei cittadini le riconduce al controllo del dolore e il 91% è molto o abbastanza d’accordo all’impiego di sostanze oppiacee (morfina e derivati) in fase terminale o avanzata e inguaribile di malattia, per alleviare la sofferenza fisica. “Come parte integrante della propria missione, Vidas si prende cura dei malati inguaribili anche attraverso costanti opere di sensibilizzazione sui grandi temi del vivere e del morire, di formazione e di informazione su temi normativi e scientifici”, spiega Antonio Benedetti, direttore generale dell’associazione che dal 1997 ha costituito un Centro studi e formazione con corsi di aggiornamento per tutte le figure dell’équipe multiprofessionale, oltre che per i giornalisti.

Il punto di vista dei medici. La ricerca misura per la prima volta la conoscenza e l’esperienza delle cure palliative anche tra i clinici, suddivisi tra medici di medicina generale (Mmg), pediatri di libera scelta (Pls) e specialisti ospedalieri. Dai risultati emerge che oltre l’80% dei medici è a conoscenza del diritto riconosciuto per legge alle cure palliative, tuttavia, esiste ancora una percentuale che ignora questa informazione: il 21% dei pediatri, il 17% degli specialisti ospedalieri, il 15% dei medici di medicina generale (Mmg). Tra i pediatri, in particolare, solo uno su tre si sente sufficientemente informato sulle cure palliative pediatriche. Oltre il 60% dei clinici è orientato a proporre le cure palliative quando i trattamenti non incidono più sul decorso della malattia, prima di arrivare alla fase terminale. “Secondo la ricerca, la pianificazione condivisa delle cure è un bene per oltre il 50% dei medici – afferma Giada Lonati, medico palliativista e direttrice sociosanitaria di Vidas -, ma

il vero ostacolo è parlare ai propri pazienti di malattia grave, prognosi infausta e morte.

I clinici sanno, in astratto, che cosa dovrebbero dire, ma per loro è difficile trovare le parole giuste. Perché le cure palliative affrontano un dolore globale, che ha una dimensione fisica ma anche psicologica, sociale e spirituale. Anche per questo è fondamentale una formazione ad hoc”.

Importante il contributo delle università. Come la Statale di Milano dove, spiega il rettore Elio Franzini, “è nata nel 2021 la prima cattedra universitaria di Cure palliative, a testimonianza del ruolo fondamentale che ha la formazione di specialisti in questo settore”. Per Giovanna Sacchetti, presidente della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti, “il malato non deve mai essere lasciato solo e deve ricevere cure appropriate circondato dall’affetto dei suoi cari e protetto dall’attenzione di medici e operatori competenti e sensibili”. Importante, inoltre,

la costruzione culturale di un linguaggio comune e condiviso, anche da non addetti ai lavori”.

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