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Energie rinnovabili. Milano: “In Italia camminiamo troppo lentamente”

Pannelli solari installati in Francia (Foto SIR/European Commission)

Gigliola Alfaro

Ad ottobre, il 4 per l’esattezza, è stata pubblicata l’esortazione apostolica di Papa Francesco “Laudate Deum” sulla crisi climatica. Cinque giorni dopo, il 9 ottobre, il Consiglio Ue ha adottato la nuova direttiva Red III sulle fonti rinnovabili che ha come obiettivo principale di coprire con fonti rinnovabili, entro sette anni, almeno il 42,5% del consumo energetico totale dell’Ue. Gli Stati membri adesso sono chiamati a integrare la nuova direttiva all’interno delle proprie legislazioni nazionali, con appositi Piani per l’energia e il clima. L’Italia di fronte alle sfide di cui parla il Papa e agli obiettivi che si pone l’Ue a che punto è? Ne parliamo con il segretario generale di GreenaccordGiuseppe Milano.

(Foto: Redazione)

Il Consiglio Ue ha adottato la nuova direttiva Red III sulle energie rinnovabili. L’Italia a che punto sta?

La nuova misura, parte integrante del pacchetto “Fit for 55”, incrementa gli obiettivi della precedente direttiva Red II sulle rinnovabili e introduce meccanismi di semplificazione normativa, nell’esigenza e nell’urgenza di accelerare le politiche di decarbonizzazione. In concreto, dunque, la nuova direttiva Red III, per raggiungere lo scopo della riduzione di emissioni climalteranti del 55% entro il 2030, impone agli Stati membri di portare la quota vincolante di rinnovabili nel consumo finale di energia dell’Ue al 42,5% (dal 32% precedente). Ulteriori novità sono rappresentate dalla spinta alla cooperazione internazionale da attuare mediante progetti transfrontalieri; dall’introduzione di un target per le tecnologie innovative pari ad almeno il 5% della nuova capacità installata; dall’inserimento, per la prima volta, di una percentuale vincolante per il settore del riscaldamento e del raffrescamento (aumento annuo dello 0,8% della quota verde nei consumi fino al 2026 e di 1,1 punti percentuali dal 2026 al 2030); dalla sburocratizzazione dei processi autorizzativi, con una durata non superiore ai 12 mesi per i nuovi impianti da allocare nelle cosiddette “aree idonee”, ai 24 mesi per le eventuali infrastrutture realizzate al di fuori di questi perimetri, ai 31 giorni per gli impianti con capacità pari o inferiore ai 100 kW prodromici alle esperienze di autoconsumo collettivo e di comunità energetiche. E proprio l’enorme ritardo del decreto ministeriale sulle comunità energetiche fotografa la preoccupante paralisi del nostro Paese: oltre a questo provvedimento, infatti, mancano ancora all’appello il decreto sulle “aree idonee” e il nuovo Piano nazionale per l’energia e il clima, ancora in fase di consultazione.Nonostante i tiepidi progressi dell’ultimo biennio, l’Italia oggi copre i propri fabbisogni con appena il 35% di energia rinnovabile e sono solo 3 i GW di nuova capacità rinnovabile installata nel 2022, con la previsione di non superare i 7 nell’anno corrente, quando l’obiettivo dovrebbe essere di almeno 10-12 GW all’anno fino al 2030.In sintesi: bisognerebbe correre. Noi camminiamo troppo lentamente.

Nella “Laudate Deum” il Papa si rivolge principalmente a Governi e organizzazioni sovranazionali, data l’entità dei problemi, ma ha anche ricordato ai fedeli cattolici le motivazioni di questo impegno a difesa del Creato che scaturiscono dalla loro fede e ha incoraggiato i fratelli e le sorelle di altre religioni a fare lo stesso. Qual è l’impegno delle Chiese in Italia su questo fronte e in particolare rispetto alle comunità energetiche?

Papa Francesco, ancora una volta, ci ha stupito: con questa nuova esortazione apostolica, mediante un linguaggio semplice e accessibile a tutti, ci invita ad essere “sentinelle del Creato” e testimoni del cambiamento.Senza negare la complessità e la fragilità odierna scaturite dai cambiamenti climatici esasperati dai nostri insostenibili stili di vita, che impattano prioritariamente sui meno responsabili del nuovo regime climatico, il nuovo documento papale esorta soprattutto gli amministratori, ma anche ciascuno di noi, ad ascoltare gli appelli degli scienziati climatici e l’urlo delle giovani generazioni che non meritano di vivere sulle macerie provocate dalla nostra avidità e cecità. È un testo più politico ed economico, nel senso più etico dei termini, che squisitamente ecologico, nella strenua consapevolezza che la visione strategica dell’ecologia integrale debba essere la bussola per camminare lungo i sentieri della sostenibilità e andare oltre i combustibili fossili. È giunta l’ora che i cristiani riscoprano la bellezza e l’originalità della propria fede in ragione della quale, nel principio della corresponsabilità, si attivino per il bene comune e si trasformino, nelle loro comunità, in attori protagonisti della necessaria conversione ecologica. Un esempio nitido di questa “rivoluzione di senso”, già accolta dalla Chiesa sin dalla Settimana sociale di Taranto, sarebbe la partecipazione alle comunità energetiche, già individuate dalle norme comunitarie come tassello fondamentale per la decarbonizzazione.

Ci sono buone pratiche di cui possiamo parlare?

Le comunità energetiche sono soggetti giuridici che devono perseguire contemporaneamente obiettivi di sostenibilità sociale, ambientale ed economica, mettendo al centro le persone e non il profitto, per processi democratici inclusivi e generativi che concorrano da un lato ad aumentare la dotazione di energia rinnovabile pro-capite e dall’altro ad elevare la qualità dei servizi per i soci aderenti delle comunità energetiche mediante gli incentivi erogati dal Gestore dei Servizi energetici per l’energia restituita alla rete nazionale e per quella autoprodotta. Di conseguenza, “la democratizzazione dell’energia” è una delle modalità individuate dall’Unione europea per andare oltre l’egemonia dei combustibili fossili e analogamente dalla Cei per ricreare coese comunità di destino incardinate sul paradigma della reciprocità e della sussidiarietà.Le diocesi di Bari-Bitonto e di Alba sono le prime, ma non le uniche in Italia, ad essersi già mosse individuando i territori in cui avviare progetti sperimentali, coinvolgendo non soltanto le parrocchie.

Cosa si sta facendo a Bari?

Oltre all’esperienza avviata dalla parrocchia di San Giuseppe che prevede l’installazione degli impianti sulla copertura del contiguo cinema essendo la chiesa un bene vincolato, a Bari si stanno quantificando le superfici utili che potrebbero essere solarizzate, per fasi incrementali, sulla base di progetti tecnicamente ed economicamente ambiziosi e nell’ambizione di contrastare il fenomeno crescente della povertà energetica. Sono in corso, inoltre, valutazioni sia sulla forma giuridica che i costituendi soggetti dovranno avere, con una preferenza per le Fondazioni di partecipazione, sia sull’eventualità di stringere alleanze con istituti di credito che possano contribuire all’acquisto degli impianti, bypassando almeno parzialmente l’indisponibilità dei meno abbienti.

E in Piemonte?

Nel territorio piemontese, in cui l’esperienza avviata è sostenuta anche dalle Istituzioni locali, è particolarmente apprezzabile, invece, sia la dimensione extra-comunale e territoriale sia la vocazione sociale: a fronte degli impianti da oltre 150 Kw che saranno installati, per una copertura di oltre 180 utenze, con gli incentivi raccolti, secondo le informazioni finora disponibili, si punterà a sostenere le famiglie in condizioni di disagio e i più giovani a rischio di marginalità.In particolare, uno degli obiettivi che i proponenti confidano di poter realizzare, attraverso l’erogazione di borse di studio, è l’avviamento al lavoro, per esempio, dei neet, ossia dei giovani che non studiano e non lavorano, oltre di quelli che un lavoro lo hanno perso, in modo tale che possano continuare ad operare nel territorio natio senza emigrare, sostenendo la diffusione dei green jobs che potrebbero offrire solide prospettive (si pensi alla manutenzione degli stessi impianti). In simili aree montane, la sfida principale è rallentare lo spopolamento in corso, generando possibilità di sviluppo per le più giovani generazioni. Tali esperienze rivelano, dunque, quale debba essere la prima energia rinnovabile che dobbiamo alimentare con il nostro pragmatismo: la fiducia negli altri, per una sinodalità sincera e duratura.

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