DIOCESI – “Da anni sentiamo parlare di ‘emergenza immigrati’, come se si trattasse di una questione contingente, temporanea, mentre in realtà quello dell’immigrazione è un fenomeno storico, strutturale. Riferita agli immigrati poi è frequente anche l’espressione ‘invasione’, ma anche qui si tratta di un termine assolutamente fuori luogo, in quanto i dati dicono ben altro: gli stranieri in Italia sono solo 5 milioni, corrispondenti a meno del 9% degli abitanti. Spesso inoltre leggiamo o sentiamo parlare addirittura di ‘sostituzione etnica’, un ‘espressione inappropriata, in quanto indica una situazione ben lontana dalla realtà: negli ultimi anni, infatti, si registra un calo dei nuovi nati da stranieri, tanto che siamo passati dalle 80 mila alle 60 mila nascite all’anno. In altre parole la narrazione che viene fatta del fenomeno dell’immigrazione è imprecisa e non supportata dai dati, un aspetto questo molto grave e pericoloso. Mi rendo conto che sia più facile lanciare un messaggio ideologico, spesso tradotto con uno slogan, che catturi l’attenzione del lettore e lo coinvolga dal punto di vista emotivo; al contrario, è più complicato fare un lavoro di cura del dato, di diffusione, di commento e di lettura critica di quel dato. Tuttavia, anche se è più noioso e faticoso, alla base della comunicazione devono esserci proprio i dati e la loro interpretazione critica“.
È con queste parole che lo storico, ricercatore e scrittore Simone Varisco, membro della Fondazione Migrantes Italia, ha smentito una serie di luoghi comuni legati all’immigrazione, durante l’incontro avvenuto lunedì 13 novembre, dalle ore 18:00 alle ore 19:30, presso l’oratorio della parrocchia Sant’Antonio di Padova in San Benedetto del Tronto. E lo ha fatto illustrando i dati salienti del XXXII Rapporto Immigrazione – 2023, di cui è stato redattore, un documento steso ogni anno da Caritas Italia e Migrantes Italia per monitorare la situazione degli immigrati stranieri in Italia, degli emigranti italiani all’estero e dei Rom, Sint e viaggiatori per spettacoli.
Presenti all’incontro don Sandro Messina, direttore Migrantes Marche, don Patrizio Spina, vicario generale della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, Pierluigi Addarii, direttore dell’Ufficio Migrantes della Diocesi rivierasca, che ha anche condotto la serata, Giorgio Rocchi, direttore della Fondazione Caritas della Diocesi di Ascoli Piceno, don Gianni Croci, direttore della Fondazione Caritas della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, Franco Veccia, direttore dell’Ufficio di Pastorale Sociale, del Lavoro e della Cura del Creato della medesima Diocesi. Presenti anche numerosi operatori del Terzo Settore, come i volontari della Caritas, ed alcuni rappresentanti delle istituzioni, come il vicesindaco del Comune di San Benedetto del Tronto, Tonino Capriotti.
Al termine dell’incontro, abbiamo colto l’occasione per intervistare il dott. Varisco in particolare sulla situazione degli stranieri nella regione Marche e, più nello specifico, nella provincia di Ascoli Piceno.
Qual è la presenza degli stranieri nelle Marche e, in particolare, nella provincia di Ascoli Piceno?
Nella maggior parte dei casi, gli stranieri residenti in Italia sono qui per motivi di lavoro, quindi scelgono zone in cui la possibilità occupazionale è maggiore: è privilegiata pertanto la parte settentrionale della nostra penisola. Ci sono poi coloro che si stabiliscono qui con le famiglie e in questo caso tendono a radicarsi sempre di più sul territorio.
I cittadini stranieri residenti nella regione Marche sono l’8,6% della popolazione totale, perfettamente in linea con la media nazionale. In particolare nella provincia di Ascoli Piceno, i cittadini stranieri sono poco più di 13.000 e rappresentano il 6,6% della popolazione totale, quindi in percentuale più bassa rispetto alla media nazionale e regionale.
Quanti sono, nella nostra regione e nella provincia di Ascoli, i nati stranieri, ovvero i bambini che nascono in Italia da genitori che non hanno la cittadinanza italiana?
L’andamento è in calo. Nel 2001 i nati stranieri nelle Marche erano 1.014; nel 2011 il numero si è più che raddoppiato, arrivando a 2.621; nel 2021 il numero si è dimezzato, registrando 1.397 nascite. Lo stesso vale per la provincia di Ascoli Piceno: siamo passati dai 205 nati stranieri nel 2001 ai 211 nel 2011 fino ad arrivare ai 131 del 2021.
Qual è l’atteggiamento dei giovani stranieri nei confronti dell’istruzione?
Ci sono situazioni molto variegate. Alcuni giovani giungono in Italia con una motivazione specifica verso il lavoro. In questi casi c’è anche una pressione da parte della famiglia di origine ad avviarsi rapidamente al lavoro, così da guadagnare ed inviare le rimesse al paese d’origine. In tali situazioni il viaggio in Italia viene visto come un investimento e spesso tutta la famiglia contribuisce alle spese per la partenza con l’auspicio ricevere al più presto un ritorno di natura economica. Sono sempre più numerosi, però, i giovani che, una volta giunti in Italia, comprendono l’importanza della formazione, quindi di completare o proseguire gli studi, perché questo determina anche un miglioramento della posizione economica.
Il notevole aumento del numero degli alunni stranieri in Italia, però, non deve trarre in inganno: molti di loro, infatti, sono ritenuti stranieri dalla legge italiana, ma in realtà sono nati e cresciuti in Italia. E questo vale anche per gli studenti stranieri universitari, che in gran parte si sono formati in Italia e giungono all’università con un diploma italiano. Non esistendo lo ius soli (diritto ad acquisire la cittadinanza di un Paese per il fatto di essere nato sul suo territorio), essendo nati da genitori stranieri, non sono considerati cittadini italiani, anche se, analizzando i dati, stranieri non sono!
Una forte problematica legata all’istruzione, infine, è la mancanza di riconoscimento dei titoli di studio, soprattutto per quanto concerne gli studi universitari. Ci sono persone ad alta specializzazione, – come ingegneri, medici e geologi – che in Italia svolgono mansioni a bassa specializzazione, in quanto il loro titolo di studio non viene riconosciuto. Da anni denunciamo questa situazione di “overqualification“, ovvero uno stato di sovraqualifica, di istruzione oltre quanto necessario o richiesto per una posizione lavorativa, non solo perché è poco dignitoso per il lavoratore, ma anche perché c’è una perdita di investimenti formativi che invece potrebbero essere messi a frutto in altra maniera.
Qual è la condizione delle donne straniere nel mondo del lavoro?
La condizione delle donne straniere nel mondo del lavoro è abbastanza preoccupante. Prima di tutto esse vivono le difficoltà che vivono anche gli uomini stranieri, come i problemi di discriminazione, il mancato riconoscimento dei titoli di studio, l’essere relegati a mansioni manuali a bassa specializzazione, l’essere sottopagati rispetto ai lavoratori italiani. Le donne straniere, però, oltre a tutto questo, vivono una maggiore difficoltà di accesso al mondo del lavoro. In particolar modo quelle extracomunitarie, fuori dall’Unione Europea, vivono una condizione ancora peggiore: il loro tasso di occupazione è del 43,6%, molto più basso di quello delle donne italiane, ma anche rispetto a quello delle straniere comunitarie, che sono occupate al 55,5%.
Nonostante le difficoltà siano molteplici, ci sono comunque contesti virtuosi di accoglienza, convivenza e condivisione. Nel Rapporto Immigrazione 2023 è riportata un’esperienza vissuta proprio qui a San Benedetto del Tronto. Ce ne vuole parlare?
Ve ne parlo molto volentieri! Nel nostro Rapporto c’è un approfondimento specifico sul mondo della pesca che riguarda proprio la Marineria Sambenedettese. Scritto da don Giuseppe Giudici, direttore dell’Apostolato del Mare della vostra Diocesi, il documento fotografa la presenza di cittadini stranieri impiegati nel settore della pesca, sia come pescatori sia come armatori. In particolare viene riportato il racconto dalla prospettiva di un pescatore del Ghana, che da anni lavora qui e a fine mese invia le rimesse al paese di origine, e da quella di un armatore dell’Albania, che invece è orgoglioso di dare un contributo di lavoro agli Italiani e ad altri cittadini. Una bella testimonianza, che ci è parsa significativa.
Cosa possono fare le Istituzioni per offrire un’accoglienza adeguata?
Si può sicuramente fare un lavoro di valorizzazione delle capacità e delle potenzialità. Spesso le Istituzioni, seppur in buona fede e con le migliori intenzioni, hanno un atteggiamento paternalistico orientato solo all’aiuto economico, che pure è importantissimo, ma non si può ridurre tutto solo ad una mera questione economica, a risolvere il bisogno contingente e basta. In tanti casi ci sono potenzialità inespresse che potrebbero essere invece valorizzate a livello lavorativo, economico e anche culturale.
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