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Rilascio primi piccoli ostaggi israeliani: Grappone (Emdr): “Per loro esperienza traumatica e destabilizzante che altera percezione di sé e del mondo”

di Giovanna Pasqualin Traversa

Entrato in vigore a Gaza il cessate il fuoco di quattro giorni fra Hamas ed Israele, nel primo pomeriggio di ieri sono stati rilasciati i primi 13 ostaggi israeliani, donne e bambini. In seguito torneranno in libertà anche una trentina di donne e di minorenni palestinesi detenuti in Israele. Secondo l’accordo raggiunto con la mediazione del Qatar, nel periodo di tregua saranno in totale 50 gli ostaggi israeliani rilasciati da Hamas — 30 minori con 8 madri e altre 12 donne — in cambio della scarcerazione di 150 palestinesi.

In quali condizioni psicologiche ed emotive usciranno i giovanissimi ostaggi israeliani – il più piccolo ha appena nove mesi; il più grande 17 anni – da questi 48 giorni di prigionia? Quali conseguenze potrebbe avere sul loro equilibrio questa dura esperienza? Lo abbiamo chiesto a Noemi Grappone, psicologa psicoterapeuta Emdr practitioner, e membro di Emdr Italia. L’Emdr (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è uno strumento terapeutico impiegato nel trattamento di disturbi legati ad eventi stressanti e/o traumatici: violenze, incidenti, gravi lutti, guerre. “La prigionia ha in sé tutti gli elementi che rendono il sequestro un’esperienza al limite della sopravvivenza emotiva e fisica, e quindi traumatica, e lo è ancor più per i bambini – ci spiega l’esperta – . L’isolamento forzato li destabilizza fortemente, a partire dalla deprivazione sensoriale che sperimentano poiché i luoghi della prigionia e le persone che la condividono non devono essere riconoscibili, e questo ha come effetto drammatico nelle vittime un disorientamento spazio-temporale che, già da solo, può comportare diverse psicopatologie”. Inoltre, prosegue la psicoterapeuta, “le reazioni psicologiche indotte dall’isolamento sociale sui bambini – naturalmente predisposti allo scambio e all’interazione – possono portare ad un aumento del livello di distress, una prevalenza emotiva di paura, disorientamento, rabbia, svuotamento emotivo, impotenza e rassegnazione”. Di qui “sintomi ansiosi, depressivi, disturbi del ritmo sonno/veglia e alimentari”. Ma anche “ipervigilanza, ipersensibilità a certi suoni; pensieri ricorrenti ed intrusivi”. “Non sappiamo inoltre se questi minori siano stati sottoposti – o abbiano assistito – a comportamenti violenti, abusanti o umilianti – riflette ancora Grappone – che spesso hanno lo scopo di induzione alla dipendenza dai sequestratori. La sfiducia maturata negli altri è una conseguenza dei traumi da aggressione, e può indurre senso di colpa e autobiasimo”. Come accade nelle vittime di abuso sessuale, che “provano spesso colpa e vergogna per ciò che è successo, si trincerano nel silenzio e incappano in una ripetitività del pensiero con un tema di responsabilità nell’aver incoraggiato l’aggressore o, nell’essere stati impotenti nel ribellarsi”. Un’altra possibile conseguenza, secondo l’esperta, potrebbe essere lo “sviluppo della sindrome del sequestrato, definita come Sindrome di Stoccolma”; situazione paradossale in cui “le vittime di un sequestro, anziché provare odio e avversione per i sequestratori, nonostante la presenza di comportamenti anche violenti si affezionano loro a causa dello stato di dipendenza che si sviluppa fra rapito e rapitori che gestiscono le sue fonti di sopravvivenza come cibo, aria, acqua”.

“Come ci insegna l’Emdr, il cervello umano ha enormi potenzialità lungo tutto l’arco della vita e riesce ad adattarsi anche alle peggiori esperienze. E più è bassa l’età di chi ne è vittima, maggiore è la sua possibilità di recupero”, assicura tuttavia Grappone. Qualora, invece, “ciò non sia praticabile, il disturbo da stress post-traumatico (Ptsd) è una delle possibili conseguenze, e in quanto tale richiederà un percorso di sostegno psicologico. Siamo un contesto di continua traumatizzazione, un periodo storico impressionante che altera la percezione di sé stessi e del mondo”. Questa, osserva ancora la psicoterapeuta, “non è certo la sede per valutazioni politiche e morali, ma non possiamo trasversalmente non pensare che anche i bambini palestinesi sono ostaggio di un fenomeno che li rende impotenti, negati e deprivati di tutta una serie di esperienze e della loro infanzia”. E conclude: In condizioni normali un bambino impara a considerare il mondo come un luogo sicuro, ma qui non lo è. È questo cambiamento di prospettiva che stravolge le esistenze di tutti i bambini, senza differenza fra israeliani ostaggio di Hamas e palestinesi”.

 

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