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Sinodo e vita religiosa. Fr. Emili Turú (Usg): “Una sola voce per uomini e donne, siamo con il popolo che soffre in guerra”

di Riccardo Benotti

“Dare una voce unica alla vita religiosa”. Così fra Emili Turú Rofes, segretario generale dell’Usg (Unione dei superiori generali), tira le fila della 100ª assemblea dell’Usg che si è tenuta in forma congiunta con l’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) e si è conclusa oggi a Sacrofano sul tema “Sinodalità. Un rinnovato appello alla profezia della speranza”.

Scegliere di celebrare l’assemblea insieme, uomini e donne, è un messaggio di unione della vita religiosa?
Stiamo camminando insieme nel solco del Sinodo. Numericamente la realtà è assai diversa: l’Unione delle superiori generali rappresenta circa 2.000 Congregazioni, includendo anche quelle diocesane; l’Unione maschile, invece, ne tiene dentro più o meno 200. In questi anni si è rafforzata la collaborazione. Si sta addirittura discutendo la possibilità di creare una sola Unione, ma bisogna superare alcune difficoltà operative. Si potrebbe pensare a una Federazione? Chissà. L’importante è dare una voce unica alla vita religiosa.

Affinché anche le donne abbiano maggiore considerazione nella Chiesa?
Adesso, quando si presenta l’opportunità, deve parlare la presidente per le donne e il presidente per gli uomini. Noi siamo con loro nel desiderio di apertura della Chiesa alle donne, per trovare il posto che davvero le appartiene. La vita religiosa è unita in questo percorso.

Come è entrato il Sinodo nei monasteri, nelle comunità, nelle case dei religiosi sparse nel mondo?
La vita consacrata è sinodale dall’inizio. Pensiamo, ad esempio, alla partecipazione di tutti per l’elezione del superiore. San Benedetto invitava ad ascoltare i più giovani della comunità, perché molto spesso è proprio ai più giovani che il Signore rivela le soluzioni. Da questa prima fase del Sinodo, è emerso che la vita consacrata è un luogo da cui prendere ispirazione. Poi, certamente, l’applicazione pratica è a volte difficoltosa: ci sono casi di abusi di autorità, di scarso ascolto. All’inizio si è utilizzato il metodo parlamentare, perché era quello considerato più democratico per ascoltarci. Ma adesso vediamo che è insufficiente, che ci vuole altro.

Cosa?
Dobbiamo entrare nell’ascolto contemplativo proposto dal Sinodo, che fa davvero la differenza. Questo è molto potente per la Chiesa e per il mondo. Imparare a parlare persino con la persona che è ai miei antipodi, cercando di comprenderla. Dialogare significa mettersi in ascolto per capire, non per discutere ma per accogliere. Se tutti facciamo questo sforzo, allora c’è una comunione al di là delle idee. Possiamo essere in comunione anche se la pensiamo diversamente.

Dall’Ucraina alla Terra Santa, sono sempre di più le guerre che insanguinano il mondo…
Sono i segnali di un cambiamento d’epoca. Se ne parla, ormai, dal Concilio Vaticano II e il Papa lo ripete spesso: questa non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Un’epoca sta morendo e ne vediamo i sintomi. Credo che i religiosi siano impegnati in quello che il Papa scrive in Fratelli tutti: è in atto la gestazione di un mondo nuovo.

Frati, monaci, suore sono presenti nei luoghi più sofferenti. A Gaza, sotto le bombe, sono restati accanto alla popolazione. Perché?
A volte possiamo sembrare ridicoli perché alla forza delle armi contrapponiamo quella dell’amore. Potremmo apparire folli agli occhi del mondo. Eppure sappiamo che in Palestina i religiosi stanno in comunione con il popolo. Che in Ucraina restano lì con la gente, e così in tanti Paesi dell’Africa dove c’è guerra e violenza. Noi crediamo fermamente nella forza dell’amore, che è il motore del cambiamento. Tutto invita a non avere speranza. E invece noi sappiamo che è profetico avere speranza, perché crediamo nella forza del Vangelo e dell’amore, che supera la potenza delle armi e della distruzione. Il Sinodo è un momento importantissimo per riaffermare che siamo col Papa. E che non dobbiamo mai perdere la speranza.