Giovanna Pasqualin Traversa
Non un unico fattore scatenante, ma un mix esplosivo che porta ad un vero e proprio cortocircuito. C’è questo, per lo psichiatra Tonino Cantelmi, direttore sanitario dell’Istituto don Guanella di Roma e presidente dell’Itci (Istituto di terapia cognitivo interpersonale), alla base dell’orribile uccisione di Giulia Cecchettin, dopo la quale il tema della violenza maschile sulle donne sembra essere davvero entrato nel dibattito pubblico. C’è chi parla di cultura patriarcale, di un raptus di follia, di un mostro mimetizzato all’interno di un’apparente normalità. Per Cantelmi il vero problema è la fragilità della figura maschile.
Professore, si è parlato di cultura patriarcale, di follia, di immaturità relazionale. Secondo lei, che cosa c’è dietro questo ennesimo femminicidio che ha particolarmente colpito l’opinione pubblica?
Non credo si possa ridurre ad un fatto culturale; qui – come in molti casi analoghi – si è verificato un corto circuito.
Esiste una profonda fragilità maschile, che cortocircuita nell’aggressività e nella violenza come unico rimedio al senso di frustrazione e di impotenza.
Un processo complesso, legato soprattutto all’immaturità relazionale, ossia all’incapacità di relazioni autentiche, il vero tema centrale di questo inizio di terzo millennio. La clamorosa e drammatica fragilità del maschile, legata anche al crollo di modelli culturali rassicuranti, si fonde con la grande crisi della relazione interpersonale che oggi caratterizza ogni ambito del vivere. Ma c’è anche un altro aspetto.
Quale?
Il contesto generale della nostra società, imbarbarita e sempre più violenta – anche per la crescente diffusione dell’uso di cocaina e altre sostanze psicotrope – all’interno della quale l’aggressività personale viene sempre più agita come modalità di risoluzione dei conflitti.
Tornando alla fragilità maschile, da dove nasce?
In decenni di progressiva erosione, se non di eclissi, della figura paterna, è venuta meno la trasmissione dei modelli autenticamente maschili, indispensabile per la formazione di un’identità maschile equilibrata e compiuta. Il bambino, dopo i primi anni di vita, ha bisogno di “distaccarsi” gradualmente dalla figura materna per “avvicinarsi” alla figura del padre che dovrebbe essere in grado di accompagnarne e sostenerne il processo evolutivo. Negli ultimi decenni, purtroppo, questa dinamica di identificazione maschile si è indebolita, con la conseguenza di
giovani maschi, ma anche uomini cinquantenni, molto fragili perché privi di un’identità certa e compiuta.
Che ruolo gioca in tutto questo il grado di libertà, istruzione, emancipazione raggiunto dalla donna? Giulia è stata, non a caso, uccisa alla vigilia della laurea dall’ex fidanzato rimasto indietro negli studi.
Negli ultimi anni all’interno dell’universo femminile si è realizzata un’autentica “mutazione genetica” in termini di autonomia, assertività, successo professionale. Traguardi conseguiti in tempi brevi con cui molti uomini non hanno ancora imparato a fare i conti.
Per un maschio fragile, una donna risolta e assertiva può essere percepita come antagonista, “aggressiva” o addirittura “minacciosa”.
Un aspetto di competizione maschile che mi sembra evidente anche in questa vicenda: la frustrazione di fronte alla brillante carriera accademica di Giulia che fa sentire il suo ex inadeguato; da qui, oltre che per l’abbandono, la sua violenza distruttiva.
Lei ha sottolineato anche l’incapacità odierna di relazioni autentiche. Che cosa intende dire?
La maggior parte delle relazioni uomo-donna è oggi caratterizzata da narcisismo, mancanza di vera empatia, appiattimento sul presente. Più che sulla profondità del sentimento e sulla condivisione di una visione e di un progetto di vita, si gioca sulla ricerca nell’immediato di emozioni forti, concentrandosi solo sul presente, finché dura. In questo modo però la coppia è incapace di elaborare e gestire i conflitti che finiscono inevitabilmente per risolversi con la rottura, talvolta anche violenta, della relazione.
È stato annunciato un progetto di educazione affettiva nelle scuole. Al di là di questo, di cui non si conoscono ancora i contenuti, chi dovrebbe “insegnare” ai giovani l’importanza e il modo per costruire relazioni affettive sane? I genitori?
Magari! Dovremmo essere noi a parlare con i nostri figli di educazione affettiva e di sessualità. Ma prima di parlare di sesso – che oggi i nostri figli “imparano” su Pornhub e Youporn, per citare solo due tra le piattaforme più invasive del web –
occorrerebbe far capire loro il valore dell’intimità, della condivisione, del rispetto, della reciprocità.
Le emozioni, anche quelle forti, sono il passo successivo. I nostri figli, però, hanno spesso a che fare non con genitori autorevoli adulti di riferimento, bensì con adultescenti ancora invischiati nei loro aspetti adolescenziali e incoerenti con il loro ruolo genitoriale. E poi, più che le parole, conta la testimonianza di una relazione felice tra mamma e papà; relazione che invece oggi è spesso estremamente scadente.