“Per molti versi, è stata un’esperienza senza precedenti”.
La Lettera al popolo di Dio “descrive così la Prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (4-29 ottobre), pochi giorni prima della conclusione. Nella stessa linea vanno molte testimonianze che, dopo la fine dei lavori, hanno trovato spazio nei media, ecclesiali e non solo, di tutto il mondo: i partecipanti sono stati colpiti da quello che hanno vissuto, dall’incontro reso possibile dal lavoro in piccoli gruppi, seguendo il metodo della conversazione nello Spirito”. A sottolinearlo è il gesuita padre Giacomo Costa, segretario speciale della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi e presidente della Fondazione culturale San Fedele, a Milano. Dalle colonne del quaderno n. 4.163 de La Civiltà Cattolica, in uscita sabato 2 dicembre e come di consueto anticipato al Sir, Costa spiega: “Questo li ha toccati assai più profondamente dei temi oggetto dei lavori, della loro varietà, o dello sforzo fatto per comprenderli e illuminarli. Per molti, anche in confronto con i Sinodi precedenti, la qualità dell’esperienza vissuta è un segno distintivo e qualcosa di inatteso, un dono che sorprende”. “L’organizzazione del Sinodo ha messo al centro ciò che accomunava tutti i partecipanti a monte delle molte differenze”, spiega Costa, e quello che ha colpito è stata “la costruzione di un clima di fiducia in cui ciascuno si è sentito libero di offrire il proprio contributo e di accogliere quello degli altri. Così è stato possibile porre sul tavolo una serie di questioni, anche quelle più spinose”, le unioni poligamiche, le varie vocazioni nella Chiesa, gli abusi e il rendere conto dell’esercizio delle proprie responsabilità, “per le quali nella vita ordinaria della Chiesa sembra mancare un luogo di accoglienza e un lessico con cui articolare le diverse posizioni”.
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