DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

«Vegliate…»: è un invito che, più volte, la Parola di questa domenica, soprattutto la pagina evangelica di Marco, ci propone. Siamo all’inizio di un nuovo anno liturgico e il termine “vegliare” ci risulta piuttosto familiare, è un termine che, quasi automaticamente, associamo a questo tempo di Avvento.

Mi piace, oggi, avvicinarmi a questa parola non come ad un imperativo unilaterale del Signore, ma come alla risposta di Gesù alla preghiera dell’uomo, alla nostra preghiera.

Se prestiamo attenzione, il brano che ci presenta la prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, è proprio una preghiera struggente, accorata, fiduciosa del popolo di Israele al suo Dio.

«Tu, Signore, sei nostro padre […] Perché ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi […] Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te…».

C’è una presa di coscienza: quella di camminare su sentieri smarriti, di esserci addormentati, rattristati, quasi avvizziti come foglie secche, la presa di coscienza di avere un cuore indurito per il fatto di aver chiuso i nostri orecchi alla Parola del Signore, quella di sentirci in balia degli eventi, spesso senza possibilità di risvegliare speranza, coraggio, fiducia.

A questo punto, il naturale proseguimento della preghiera sarebbe l’espressione del nostro desiderio di conversione. Invece, lo abbiamo letto, l’uomo chiede la conversione di Dio: «Ritorna [Signore] per amore dei tuoi servi». Lo ripete anche il salmista: «Dio degli eserciti, ritorna!».

Non siamo noi che con le nostre forze, i nostri meriti ritorniamo a lui, è Dio che ci raggiunge là dove siamo dispersi, smarriti, persi.

I verbi più importanti in questa preghiera, infatti, non sono i verbi del nostro smarrimento, ma sono i verbi che ci parlano dei passi di Dio che ci viene incontro, che ritorna a noi: «Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie […] Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani».

Noi siamo soliti fissare lo sguardo sulla nostra piccolezza, sulle nostre miserie, aridità, mancanze, insuccessi. L’Avvento è, invece, fissare lo sguardo in Dio, sulla sua fedeltà che è più grande di ogni nostro smarrimento, sul suo amore di Padre.

E’ questo il senso del «Vegliate…» a cui Gesù invita nel Vangelo. A noi che chiediamo al Signore «Ritorna…», il Signore risponde «Vegliate…». In questo tempo che ci prepara al Natale, non siamo chiamati a sforzi sovrumani o a cose particolari e più o meno impegnative. Il Signore ci dice: guardate avanti, scrutate la notte, spiate lentamente l’emergere dell’alba… e noi, come il salmista, cantiamo: «Signore, fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi».

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