Mons. Germano Penemote, nunzio apostolico in Pakistan (foto: Caiffa/SIR)

Patrizia Caiffa

(da Islamabad) – Dialogo con le autorità pakistane e interreligioso, educazione nelle scuole. Sono le vie principali per prevenire episodi violenti o discriminazioni nei confronti dei cristiani e di tutte le minoranze religiose in Pakistan, anche a causa di un uso improprio della legge sulla blasfemia. “La mia preoccupazione principale e il mio augurio è che il popolo pakistano viva in pace e in armonia”. E’ ciò che più sta a cuore al nuovo nunzio apostolico in Pakistan, l’arcivescovo Germano Penemote, 53 anni, angolano. È nella sede di Islamabad da pochi mesi, prima ha lavorato nelle nunziature in Benin, Uruguay, Slovacchia, Thailandia, Ungheria, Perù e Romania. Ora rappresenta la Santa Sede nel secondo Paese musulmano più popoloso al mondo (il primo è l’Indonesia), con oltre 224 milioni di abitanti, in continua crescita. Le cifre dei cristiani non sono chiare e oscillano dallo 1,6% al 2% della popolazione. Altre stime parlano di 2 milioni e mezzo di persone. L’ultimo episodio violento nei loro confronti è avvenuto il 16 agosto, a Jaranwala, a 30 chilometri da Faisalabad, nello Stato del Punjab: una folla inferocita di migliaia di persone ha incendiato chiese e case, profanato cimiteri e bibbie, divelto croci, alcuni cristiani sono stati picchiati. Per fortuna non c’è stata nessuna vittima. Incontriamo monsignor Penemote in nunziatura, nella blindatissima enclave diplomatica della capitale, dove sono le sedi di tutte le ambasciate. Una delegazione di Caritas italiana e Caritas Pakistan è qui per raccontargli il lavoro di questi giorni, ossia i corridoi umanitari dei rifugiati afgani che vivono in Pakistan, grazie al contributo della Chiesa italiana e in seguito al protocollo firmato con i Ministeri dell’Interno e degli Affari esteri: la settimana prossima arriveranno in Italia 93 persone, a scaglioni.

Lei è qui da pochi mesi, qual è la sua prima impressione della comunità cristiana pakistana?

Sto all’inizio della mia missione e sto osservando la situazione del Paese, che non è facile. Ho già visitato due imam importanti del Paese, di Lahore e Islamabad. Ho incontrato tutti i vescovi, l’8 novembre sono stato all’incontro della Conferenza episcopale pakistana e c’erano anche tutti i superiori maggiori dei religiosi. Ho visitato la cattedrale di Rawalpindi e la parrocchia di Fatima a Islamabad, piano piano visiterò tutto il Paese. Cercheremo di servire il popolo di Dio, senza distinzione di religione, di regione o di particolarità. Tutti siamo popolo di Dio. Qui sono tutti cittadini pakistani e tutti hanno gli stessi diritti. Cerchiamo di lavorare affinché ci sia armonia e pace e un dialogo più forte in ambito interreligioso.

Ha trovato apertura e disponibilità da parte delle istituzioni pakistane?

Sì. Il 1° novembre ho presentato le Lettere credenziali e sono stato ben accolto dalle Autorità, sia da parte del Ministero degli Affari esteri sia della Presidenza della Repubblica. Ho avuto un primo incontro con il Presidente della Repubblica. Si è dimostrato una persona aperta, che desidera lavorare per il bene del popolo pakistano.

 I cristiani, e tutte le minoranze, hanno un problema con l’uso improprio della legge sulla blasfemia, che condanna chi insulta l’islam o il profeta Maometto. Chiederete qualcosa in proposito?

È una questione aperta che dobbiamo discutere, rispettando anche la legislazione locale. Noi cercheremo di parlare e di vedere che tutto corrisponda a ciò che si dice. Ad agosto è avvenuto l’assalto ai cristiani di Jaranwala, vicino Faisalabad. Non ho ancora visitato la diocesi ma ho chiesto al vescovo di andare a vedere cosa è successo. Penso che più dialoghiamo e lavoriamo insieme, più riusciamo a superare i problemi.

(foto: SIR)

Si possono prevenire episodi violenti contro i cristiani o situazioni drammatiche come quella di Asia Bibi, la madre di famiglia condannata alla pena di morte a causa della legge sulla blasfemia, e poi assolta dopo anni di carcere?

È sempre difficile prevenire perché i fatti accadono in maniera inaspettata. Forse stando più vicino al popolo di Dio e alle Autorità di questo popolo si riuscirà a fare più cose buone insieme.

Quindi priorità al dialogo con le istituzioni e con i leader musulmani. Molti episodi gravi avvengono però nei villaggi, dove c’è meno istruzione. E’ necessario anche un lavoro educativo?

Sì, bisogna avere principi educativi che aiutano le persone a cambiare il modo di pensare e di agire.

Dialogo ed educazione.

Qual è la sua preoccupazione principale in questa sua missione in Pakistan?

Mi preoccupa soprattutto la mancanza di una piena stabilità legale della Chiesa cattolica e di altre confessioni cristiane. Perché anche i cristiani sono cittadini pakistani, figli di questo Paese, e hanno bisogno di vivere giuridicamente sicuri ed in pace. Quindi, la mia preoccupazione principale, cioè il mio augurio, è vedere il popolo pakistano in pace e armonia.

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