Ernesto Olivero
Mai come in questo tempo ha senso riflettere sul valore dell’attesa.
Viviamo in un’epoca complicata che sembra lasciare poco spazio alla speranza. Prima la pandemia, poi la guerra ripiombata nel cuore del nostro continente, adesso nuovi scenari di crisi che si aprono su conflitti antichi, come in Medio Oriente. Ma penso anche a tutte le guerre finite nel cono d’ombra, dal Sudan all’ex Birmania, solo per fare qualche esempio.
Nel fondo di questa incertezza, è facile capire il senso di un oltre. Chi di noi non lo desidera? Un futuro oltre la guerra, oltre le difficoltà personali e collettive, oltre la paura.
Chi di noi non sente nostalgia di bene, di pace, di giustizia?
Credo che questi sentimenti dicano più di tante parole quello che siamo e accendano in noi quanto di più vicino ci sia al sogno di Dio sul mondo e sull’umanità. È questo il senso dell’Avvento che giorno dopo giorno ci fa entrare nel mistero del Natale che non si stanca di bussare alla nostra porta, di mostrarci la credibilità di un Dio che si fa uomo e si fa bambino, nella semplicità di una vita povera.
L’Avvento è davvero un’opportunità per entrare nel mistero, ma anche per andare alla radice dei nostri desideri più veri e farci scoprire la bellezza della responsabilità.
È come se quel bambino ci fosse affidato per prendercene cura, per fasciarlo, avvolgerlo dei nostri slanci migliori, per farlo crescere in noi.
È lo stile che in questo tempo impossibile dovremmo avere per vivere la realtà che ci circonda.
Il mondo non cambia a parole o con una bacchetta magica, ma con le nostre scelte, i nostri impegni, i sì e i no che siamo capaci di dire.
Non mi rassegno alla logica della guerra, dell’uso indiscriminato della forza, della corsa continua al riarmo. Non mi rassegno alle disuguaglianze, alla realtà di milioni di bambini che subiscono la fame, la mancanza di cure, l’analfabetismo. Non mi rassegno alle tante solitudini che abitano le nostre città, magari i nostri stessi condomini o pianerottoli. Non mi rassegno all’alienazione che attanaglia la vita di tanti giovani e adulti finiti nel vortice di dipendenze infami. Non mi rassegno all’odio, alla mancanza di dialogo, a pseudoamori che a volte arrivano ad uccidere. Non mi rassegno all’indifferenza diventata abitudine, a chi pensa solo per sé, a chi non è capace di guardare oltre il proprio naso.
Se saremo in tanti a non rassegnarci e ad agire, il mondo cambierà perché prima di tutto saremo cambiati noi.
Non conosco altra strada per preparare l’avvento della pace:
“Credo nella pace sempre,
anche quando le armi sembrano
essere l’unica soluzione.
Credo nella pace sempre,
unica condizione in cui l’uomo può vivere
e continuare a sperare nel futuro.
Credo nella pace sempre,
perché la guerra ha causato milioni di morti,
distruzione e tragedie disumane.
Credo nella pace sempre,
perché la guerra di oggi,
la violenza di oggi,
vogliono diventare il nostro domani.
Ma un domani potrebbe non esserci.
Credo nella pace sempre,
una pace che parta dai sì e dai no che siamo capaci di dire,
dalla nostra responsabilità,
dalle nostre scelte.
Credo nella pace sempre,
una pace che nasca dalla bontà
affinché pace e giustizia vivano insieme
cementate dal perdono.
Credo a una pace in cui
l’impegno concreto di tanti aiuti tutti a capire
che il vero nemico è l’odio
e che il nostro futuro si difende con la pace.
Credo nella pace sempre,
ma non basta più parlare di pace,
è necessario scegliere,
usare la nostra creatività e umanità,
affinché il fratello e la sorella che incontriamo
trovino in noi una terra amica.
Credo nella pace sempre,
perché la pace ha me, ha te”.