Di Giovanni Capetta
In Avvento, ha un significato unico e profondo e dà forma tangibile alla nostra attesa del Natale la preparazione del Presepio. Una tradizione che proprio quest’anno festeggia un anniversario importante: sono, infatti, trascorsi esattamente 800 anni da quel Natale del 1223, in cui Francesco d’Assisi, reduce dalla Terra Santa, vide nelle grotte del paesino laziale di Greccio una somiglianza con Betlemme e manifestò il geniale desiderio di rievocare tangibilmente in quel luogo la nascita di Gesù.
Già il 1° dicembre 2019, Papa Francesco, in occasione della sua visita al Santuario di Greccio, ci ha donato una breve quanto intensa lettera apostolica (Admirabile signum), in cui incoraggia i nonni, i genitori e tutte le famiglie a tenere vivo questo “esercizio di fantasia creativa” che è allestire il presepe: Comporre il presepe nelle nostre case ci aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a Betlemme. Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di conoscere e meditare quell’Avvenimento; tuttavia, la sua rappresentazione nel presepe aiuta a immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali. In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. (cfr. n.3).
In molti borghi e presso non poche parrocchie si usa ancora organizzare presepi viventi secondo l’intuizione francescana e così “vedere con gli occhi del corpo i disagi” (questa l’espressione dell’assisiate) in cui si è trovato Gesù appena nato, ma è con lo stesso spirito che milioni di famiglie nel mondo in questi giorni preparano il loro presepe che inevitabilmente sarà diverso da ogni altro presepe eppure rievoca lo stesso evento di salvezza di un Dio che si fa uomo in un bambino avvolto in fasce, in una mangiatoia. In latino “mangiatoia” si dice proprio presepio e ciò richiama, oltre che al mistero dell’Incarnazione a quello strettamente connesso dell’Eucarestia. Già a Betlemme, la “casa del pane”, scorgiamo la volontà di Dio che il Figlio si doni a noi con il suo corpo: quanta profondità di mistero! Eppure la rappresentazione plastica del presepio si affianca a questa verità teologica attraverso la bellezza e lo stupore, vie privilegiate per i cuori e le menti più semplici. In ogni casa in cui ci siano dei figli ancora piccoli, o degli adulti che si ricordino di essere stati bambini, tutti sanno dov’è riposto l’occorrente per l’allestimento messo via con cura un anno prima. Possono essere antichi e monumentali, dal grande valore artistico o moderni e simbolici… Si differenziano i materiali, gli sfondi, le scenografie, i modi di riprodurre il cielo stellato; le statuine mutano di foggia a seconda delle città e delle nazioni, sono tante o poche, rappresentano la sacra famiglia, gli angeli, i pastori, ma anche tanti uomini e donne intenti nelle più diverse attività quotidiane…
Attraverso il presepe, di generazione in generazione si trasmette la genuinità della fede in quell’evento di salvezza sempre nuova: Gesù viene nelle nostre case, così come noi andiamo da lui, immedesimandoci chi in uno, chi in un altro dei tanti personaggi che nella nostra rappresentazione si avvicinano a quel bambino appena nato. Tutte le case in cui un presepe, con le sue piccole luci, attrae l’attenzione di chi entra, divengono davvero chiese domestiche ed è bello fermarsi per almeno qualche secondo di contemplazione. Quel manufatto è il frutto della collaborazione di tutti e anche chi dispone una pecorella in ultima fila dà un contributo che ha il suo valore! Il presepio ci comunica la verità di un Dio che nel nascondimento, senza clamore, continua a tessere i fili della storia e infonde fiducia anche nell’uomo più scoraggiato. Avvicinandosi a quel bambino nella mangiatoia, con le parole poetiche di don Angelo Casati “è come se il buio non fosse più buio”.
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