Vito Salinaro

Dal 2007 al 2019 in Italia sono state evitate 268.471 morti per cancro. Diagnosi tempestive e più precise, terapie innovative e calibrate su misura, oltre ad una migliore assistenza, hanno inciso in modo determinante nel salvare vite. Si sarebbe potuto fare molto di più eliminando il tabagismo. Perché se nel nostro Paese, nel 2023, si stimano 395mila nuove diagnosi di tumore (208.000 negli uomini e 187.000 nelle donne), in aumento rispetto alle 376.600 del 2020, è perché il fumo di sigaretta pesa ancora moltissimo nello scatenare la malattia. Soprattutto nelle donne, per le quali il big killer è proprio il cancro del polmone che, nel periodo 2007-2019, ha fatto registrare un eccesso di 16.036 morti, il 16% in più di quanto atteso nelle stime, a dimostrazione di una diversità di genere nella diffusione dell’abitudine di fumare, visto che, negli uomini, il 36,6% delle morti oncologiche evitate nel periodo 2007-2019 è legato in buona parte ai progressi nella lotta al tabagismo.

Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2023, è il carcinoma della mammella (55.900 casi), seguito da colon-retto (50.500), polmone (44.000), prostata (41.100) e vescica (29.700). E, nei prossimi due decenni, il numero assoluto annuo di nuove diagnosi oncologiche nel nostro Paese aumenterà, in media ogni anno, dell’1,3% negli uomini e dello 0,6% nelle donne. È quanto emerge dal 13simo censimento ufficiale contenuto nel volume “I numeri del cancro in Italia 2023”, presentato al Museo dell’Istituto superiore di sanità, a Roma, e promosso dall’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), Associazione italiana registri tumori (Airtum), Fondazione Aiom, Osservatorio nazionale screening (Ons), Passi (Progressi delle Aziende sanitarie per la salute in Italia), “Passi d’Argento” e dalla Società italiana di Anatomia patologica e di citologia diagnostica (SIAPeC-Iap).

Le tante vite salvate, spiegano gli autori del rapporto, dimostrano che questa patologia è sempre più curabile. Molti pazienti la superano tornando a una vita “come prima”. Altri invece non hanno ricevuto particolari miglioramenti: in particolare, come detto, le donne fumatrici (alle prese con il carcinoma polmonare), e coloro, di entrambi i sessi, che si ammalano di cancro del pancreas o di melanoma. Anche se, per quest’ultima malattia, negli ultimissimi anni l’immunoterapia sta imprimendo un’autentica svolta cambiandone la storia clinica.
In realtà, tanti tumori possono essere evitati con la prevenzione primaria (e quindi perseguendo stili di vita corretti) e secondaria (aderendo agli screening e facendo controlli periodici). Basterebbe questo per abbattere definitivamente l’incidenza della malattia. L’indagine però rileva ben altro: nel nostro Paese il 24% degli adulti fuma, il 29% è sedentario, il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso, il 17% consuma alcol in quantità tale da mettere a serio rischio la salute: tutte caratteristiche che si sposano con l’insorgenza dei tumori. Nel 2022, inoltre, si è assistito a livello nazionale a un calo del 3% della copertura degli screening mammografico (43%) e colorettale (27%), che, nel 2021, erano tornati ai livelli prepandemici. È drastica la diminuzione al Nord, dove l’adesione alla mammografia è passata dal 63% nel 2021 al 54% nel 2022 e allo screening colorettale, in discesa dal 45% al 38%.

Il rapporto, scrive nel libro il ministro della Salute, Roberto Schillaci, non solo stima un aumento dei casi nel 2023 ma “indica, per i prossimi due decenni, un incremento di nuove diagnosi oncologiche. È necessario continuare a lavorare per rafforzare la cultura della prevenzione primaria e secondaria, a partire dai più giovani” e la “promozione degli screening, aumentandone i livelli di copertura, riducendo la disomogeneità territoriale e aprendo alla prospettiva di estenderli a tumori attualmente non compresi nei programmi nazionali. Oggi sappiamo con certezza che individuare il cancro nelle sue fasi iniziali vuol dire garantire un tasso di sopravvivenza maggiore e una migliore qualità della vita. È questo il messaggio che dobbiamo veicolare con forza, anche attraverso il contributo fondamentale delle associazioni”.
Altrettanto importante, conclude il ministro, è il ruolo della ricerca. Così come, evidenzia il presidente della Fondazione Aiom, Saverio Cinieri, la garanzia, per tutti i pazienti, di poter essere trattati con le “cure sempre più innovative. Situazioni cliniche, per le quali, fino a un decennio fa, le opzioni terapeutiche erano molto limitate, oggi prevedono una sequenza di più linee di trattamento”. Esempi, in questo senso, sono “i tumori del rene, della prostata o l’epatocarcinoma – riprende Cinieri -. La caratterizzazione molecolare, in aggiunta alla classica diagnosi istologica, è necessaria in tutti i casi per i quali siano disponibili in pratica clinica terapie mirate”.


Di nuove cure nuove parla anche Massimo Di Maio, presidente eletto dell’Aiom: “L’altra grande rivoluzione è rappresentata dall’introduzione dei farmaci immunoterapici di nuova generazione. L’immunoterapia ha modificato l’algoritmo terapeutico di numerosi tumori solidi e si caratterizza per ottenere, in una percentuale di pazienti, una risposta di lunghissima durata, anche di anni. Ad esempio, quando il trattamento del carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato era rappresentato dalla sola chemioterapia, la sopravvivenza a 5 anni era intorno al 5%. Oggi, gli studi condotti con l’immunoterapia dimostrano che la possibilità di essere vivi a 5 anni è salita fino al 20-30%”. Non sempre, però, denuncia Cinieri, “i progressi nella diagnosi sono implementati con la stessa tempestività in tutti i centri. Affrontare il tema della salute significa confrontarsi con le aspettative e le attese di milioni di pazienti, immedesimarsi con i loro disagi quotidiani e difendere la loro qualità di vita. Per questo dobbiamo impegnarci per continuare a tenere alto l’attuale livello del Sistema sanitario nazionale, che resta uno dei migliori al mondo, e dobbiamo consolidare ancor di più la collaborazione fra istituzioni, clinici e pazienti, affinché vengano superate le differenze assistenziali che, purtroppo, ancora oggi esistono in diverse realtà del nostro Paese”.

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