Di Daniele Rocchi
“Bombardamenti continui, pannelli solari distrutti, contenitori di acqua sui tetti inutilizzabili, la mancanza di cibo e ora anche la pioggia che sta allagando alcuni ambienti dove gli sfollati abitualmente passano la notte”: padre Gabriel Romanelli, parroco della parrocchia latina di Gaza, dedicata alla Sacra Famiglia, descrive al Sir le condizioni di vita in cui versano gli oltre 600 sfollati cristiani che hanno trovato rifugio all’interno delle strutture parrocchiali. Le racconta con lo stato d’animo di chi vorrebbe fare qualcosa di concreto ma è impossibilitato a farlo. Infatti padre Gabriel, missionario di origini argentine appartenente all’Istituto del Verbo Incarnato (Ive), dal 7 ottobre – giorno dell’attacco terroristico di Hamas a Israele – è rimasto bloccato a Betlemme e non riesce a fare rientro a Gaza.
I suoi contatti con la comunità parrocchiale sono continui, con il suo vicario padre Youssef Asaad, le religiose e i suoi fedeli. “Vorrei rientrare a Gaza e condividere questo tempo con i miei parrocchiani – confida padre Gabriel –. Vedo le foto che mi mandano e Gaza è irriconoscibile. Solo macerie. Ma questo non ci impedirà di vivere il Natale”. Come consuetudine, proprio in questi giorni, la parrocchia latina di Gaza avrebbe dovuto ricevere la visita natalizia, quest’anno la prima da cardinale, del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa. La guerra in corso ha bloccato tutto. “Avevamo pensato per lui ad una calorosa accoglienza con i bambini vestiti da cardinali passati alla storia per essere divenuti santi o beati. Un augurio di santità. Cancellate tutte le feste, anche le parate degli scout”. Una scelta condivisa con tutta la diocesi patriarcale di Gerusalemme dove il Natale sarà vissuto solo all’interno delle chiese, “rinunciando a tutte le attività e segni festivi non necessari” in solidarietà con coloro che stanno soffrendo a causa del conflitto.
Una vera tregua. “Il dono che chiediamo in questo Natale – ribadisce il parroco – è una vera tregua, un cessate-il-fuoco permanente. Ogni giorno in più di guerra significa morte, distruzione, feriti, dolore, odio. Pregheremo perché le armi tacciano, perché i feriti e i malati vengano curati, perché i prigionieri e gli ostaggi vengano tutti rilasciati. Chiediamo che gli aiuti arrivino a tutti, anche al nord, dove sono rimasti 400mila abitanti che non hanno più niente. Nelle precedenti guerre qualcosa in piedi restava, mi riferisco a negozi, ospedali, scuole, luoghi di svago. Adesso ci sono solo macerie”. Padre Romanelli riporta la triste contabilità della guerra in corso – “oltre 18mila vittime palestinesi, più di 1200 quelle israeliane, 50mila feriti palestinesi e oltre 5400 israeliani, più di 7700 bambini uccisi” – ma parla anche di ricostruzione post guerra:
“dobbiamo chiedere a Dio la forza di ricostruire e di credere che sarà possibile. Altrimenti i 2,3 milioni di gazawi dove andranno, cosa faranno, come vivranno? La comunità internazionale non li può abbandonare”.
Altare non di pietra. Sono queste le preghiere continue che i cristiani di Gaza stanno elevando in vista del Natale. I social dei fedeli di Gaza sono ricchi di foto e di video che li mostrano in chiesa a pregare. Grandi e piccoli. In questi ultimi giorni anche al buio, alla fioca luce di lampadine. Ogni giorno la piccola chiesa parrocchiale si riempie per le Messe del mattino e della sera, per il Rosario e per l’adorazione. “C’è sempre qualcuno a pregare – dice padre Gabriel, che è parroco di Gaza da più di 4 anni – e lo scopo è preservare la presenza reale di Gesù.
L’altare di Gaza non è solo di pietra ma è tabernacolo vivente.
Così si alimenta la vita spirituale dei nostri credenti, poco più di 1000 dei quali un centinaio cattolici su 2,3 milioni di musulmani. Da qui viene la forza di testimoniare la nostra fede attraverso la carità verso tutti, senza distinzioni di fede, con le opere nel campo scolastico, sanitario, sociale, dando speranza a tutte queste persone che da oltre 16 anni vivono nella prigione più grande del mondo che è Gaza. Ci sono tantissime famiglie musulmane che vivono nelle vicinanze della parrocchia e che cerchiamo in qualche modo di aiutare”. “Lo scorso ottobre – ricorda padre Gabriel – abbiamo ospitato oltre 2500 sfollati nella scuola della Sacra Famiglia nell’area di Rimal. Tutti soffrono, il dolore non distingue tra cristiano, ebreo, druso, musulmano, credente o non credente. I gazawi non devono essere dimenticati dopo questa guerra – ribadisce il religioso –. La forza per fare questo ci viene dalla fede in Gesù. Non è facile perché a volte – ammette – siamo tentati dalla ricerca di un luogo più sereno dove stare ma bisogna rimanere vicino alla gente che soffre perché anche
a Gaza Dio piange, piange con gli occhi dei bambini
rimasti orfani, di coloro che hanno perso i loro arti, dei tanti che hanno perso la libertà. In questa missione i cristiani di Gaza godono del sostegno quotidiano di Papa Francesco, del patriarca, card. Pierbattista Pizzaballa, e di centinaia di migliaia di persone, cristiane e non, che invocano pace e giustizia”.
Consolare gli innocenti. Padre Romanelli non si ferma al Natale ma invita a guardare alla Sacra Famiglia – “Gaza è Terra Santa, da qui passarono Gesù Giuseppe e Maria per fuggire in Egitto dopo l’editto di Erode – e agli Innocenti martiri (28 dicembre). La nascita di Gesù è segnata dalla Croce. Ogni essere umano è nato per vivere, Gesù nasce per morire e poi risorgere. In ogni innocente morto vediamo soffrire Gesù. Per questo lo vogliamo consolare, difendere, pregare. Ogni essere umano è creato a immagine di Dio. In questo Natale ci sono decine di migliaia di innocenti che piangono e che attendono di essere consolati. Preghiamo allora per il dono della pace”.
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