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Caritas, Don Gianni: “la Caritas non sia solo un fare, ma anche un riflettere, formarsi e pregare”

DIOCESI – “Per tutti coloro che sono impegnati in attività di volontariato c’è il rischio che, presi dalle incombenze del fare, ci si dimentichi della motivazione. Il nostro desiderio, invece, è che la Caritas non sia solo un fare, ma anche un riflettere, formarsi e pregare. Stasera quindi siamo qui per pregare insieme e condividere con tutti voi volontari un momento di preghiera, di convivialità e anche di ringraziamento: vogliamo infatti dire a voi il nostro grazie anche a nome delle persone che servite quotidianamente”. – È con queste parole che don Gianni Croci, responsabile della Pastorale Diocesana, ha introdotto l’incontro del vescovo Carlo Bresciani con i volontari della Caritas Diocesana avvenuto lunedì 18 dicembre alle ore 19:00 presso il Monastero Santa Speranza delle Sorelle Clarisse in San Benedetto del Tronto.

Durante la preghiera dei Vespri, Mons. Bresciani ha commentato così la pagina del Vangelo relativa alla figura di Giuseppe: “Quando leggiamo la Parola di Dio, noi non commentiamo mai soltanto un fatto avvenuto nel passato, ma ci interroghiamo sempre su cosa quelle parole dicano alla nostra vita personale e di Chiesa. Stasera la Parola di Dio ci educa a prepararci al Natale, presentandoci la figura di Giuseppe, un uomo che ha un progetto di vita con una donna, Maria, che è la sua promessa sposa. Secondo le usanze ebraiche del tempo, tra loro c’è già un legame importante, non un semplice fidanzamento come lo si intende oggi. Giuseppe ha quindi delle aspettative nei confronti di Maria ed invece all’improvviso si trova di fronte ad una grande sorpresa. Una sorpresa non gradita, che lo preoccupa molto. Però, sebbene sia turbato dentro di sé, Giuseppe è anche un uomo giusto. Egli vive tutto il travaglio della situazione in cui si trova, ma non vuole accusare Maria e non vuole farlo pubblicamente. Prende dunque la decisione che crea il minor male possibile: sceglie di ripudiare la sua promessa sposa in segreto, così da proteggerla dal chiacchiericcio, ma soprattutto dall’accusa pubblica. Giuseppe in segreto, in silenzio, non si preoccupa tanto della propria ferita, bensì di proteggere colei che lo ha ferito. È questo un gesto di grande amore e di grande rispetto verso Maria. In questo comportamento di Giuseppe c’è un’indicazione grande di cosa sia la carità. Giuseppe si dimostra uno che protegge la donna: potrebbe esporla alla violenza, ma non lo fa; anzi la protegge. La carità nasce da questo cuore che si preoccupa di proteggere l’altro, un cuore che non si chiude sulle proprie ferite, bensì sa andare oltre“.

“Non possiamo prepararci al Natale – ha proseguito il vescovo Bresciani –, se non percorriamo questa strada fatta non di accuse, ma di comprensione e di rispetto. Giuseppe, infatti, prima ancora di accogliere Gesù, accoglie Maria in una certa maniera. Egli è preparato a diventare il padre putativo di Gesù, solo perché è questo tipo di uomo. E solo perché è quest’uomo, può stare accanto a Maria prima e accanto a Gesù poi. La carità non è innanzitutto fare le cose, ma è far crescere dentro di noi un atteggiamento particolare nei confronti delle persone. Giuseppe si dimostra come uno che ama Dio, ma sa amare veramente anche Maria. Giuseppe si presenta come uno che unisce in sé l’amore per Dio e l’amore per l’umanità: egli ama Dio e ama l’umanità. È un atto di grande fede quello di Giuseppe e ci indica che le relazioni umane o si basano sulla fiducia o non funzionano affatto. Non la fiducia sconsiderata o superficiale di chi dice che va tutto bene e fa finta di non vedere. Ma la fiducia di chi riflette e cerca di far il minor male possibile, di chi non trova subito un rimedio, ma alla fine cerca la soluzione migliore e sa come affrontarla. Giuseppe ci insegna a coltivare quella capacità di aiutare l’altro oltre quello che sentiamo noi, a saper pensare anche al bene dell’altro. A me pare dunque che Giuseppe possa ispirare tutti noi su come vivere le relazioni: avere grande rispetto per la persona, non esporre le persone pubblicamente, saper mantenere anche il giusto segreto quando questo serve a proteggere le persone, saper salvaguardare una dignità che va salvata. Nella figura di Giuseppe c’è la carità vera. Assumiamo dunque anche noi questo atteggiamento per accogliere al meglio Gesù che bussa a noi per essere accolto”.

Al termine del momento di preghiera don Gianni Croci ha prima preso la parola per fare gli auguri di buon compleanno alla Badessa del Monastero, poi ha detto a tutti i volontari: “In Caritas cerchiamo di non guardare solo le povertà – che peraltro sono di tutti, anche di noi volontari – ma di valorizzare anche le risorse, perché ogni persona ha dei talenti che vanno apprezzati. È ispirandoci a questo principio che abbiamo realizzato con gli ospiti della Caritas un laboratorio di scrittura collettiva. Aiutati dal bravissimo prof. Ciarrocchi, abbiamo raccolto i lavori di alcuni ragazzi in una pubblicazione che stasera regaleremo a tutti voi. Si tratta un piccolo pensiero che però vuole dimostrare tutta la gratitudine nostra e degli ospiti della Caritas nei vostri confronti”.

Queste le parole con cui il prof. Saverio Ciarrocchi ha illustrato il progetto: “Il lavoro è nato da un’idea di don Gianni. Per quanto mi riguarda, non mi definirei un professore, ma preferirei essere considerato un facilitatore, perché non ho da insegnare veramente nulla. Anzi, da quando sono qui e quindi ho avuto modo di seguire alcuni ragazzi, mi sono reso conto di essere analfabeta, analfabeta nell’amore e nella conoscenza delle persone e delle storie che incontro. Il lavoro che abbiamo fatto mi ha convertito profondamente come atteggiamento, mi ha aperto degli orizzonti che non conoscevo e mi ha reso concreto il Vangelo. L’incontro che ho avuto con questi ragazzi, per me che non prego, è stato un momento di preghiera profonda, che mi accompagna durante la settimana, anche nei momenti in cui smarrisco il senso del vivere. Quando don Gianni qualche giorno fa mi ha chiesto il sottotitolo del libro, non mi veniva in mente; poi, dopo una lunga passeggiata, mi è venuta un’illuminazione: ho pensato di utilizzare il motto di don Milani, ‘I Care‘, non nella sua definizione da vocabolario di ‘Mi importa‘, bensì nel modo in cui lo stesso don Milani la traduceva, ossia con ‘Tu mi stai a cuore’, ponendo l’attenzione non sul soggetto che si prende cura dell’altro, ma sul soggetto che riceve questa cura, dandogli importanza, considerazione, dignità. Pertanto il sottotitolo di questo lavoro è ‘Tu mu stai a cuore‘, perché le storie che ho vissuto mi stanno davvero a cuore, perché mi hanno cambiato la vita. Veramente”.

A seguire ad ogni volontario è stata consegnata una lanterna realizzata dagli ospiti della Caritas con all’interno una candela accesa. Tutti i presenti si sono quindi messi in cammino per raggiungere a piedi la sede della Caritas Diocesana in via Madonna della Pietà, a mo’ di processione. Un momento molto significativo e suggestivo: le lanterne, seppur singolarmente molto piccole, nel buio delle sera, tutte insieme, hanno fatto tanta luce. Giunti nei locali della mensa Caritas, oltre alla tavola imbandita a festa e al variegato menu preparato dagli ospiti Caritas, i volontari hanno trovato un’ulteriore sorpresa: ad animare la serata c’era la Polifonica Picena. Un bel momento di convivialità e condivisione, segno concreto di quella carità di cui il vescovo Bresciani ha parlato nella sua omelia.

Carletta Di Blasio: