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Papa Francesco: “Andiamo al presepe e chiediamo la pace”

(Foto Vatican Media/SIR)

Di M. M. Nicolais

“Andiamo al presepe e chiediamo a Gesù la pace!”. Papa Francesco ha concluso con questo appello l’udienza di oggi, dedicata agli ottocento anni del presepe allestito da San Francesco a Greccio nel 1223. Salutando i fedeli di lingua italiana, il Papa ha prima espresso la sua vicinanza alla popolazione della Cina, colpita da un “devastante terremoto”, e poi ha salutato il gruppo di Mediterranea Saving Humans, presente in aula: “Fanno un bel lavoro, salvano tanta gente!”. Subito dopo, il riferimento alle guerre in corso:

“Pensiamo alla Palestina, a Israele, all’Ucraina martoriata, che soffre tanto. E pensiamo ai bambini in guerra”.

“Se noi cristiani guardiamo il presepe come una cosa bella, storica, anche religiosa e preghiamo, non è sufficiente”, l’esordio a braccio della catechesi: “davanti al mistero dell’incarnazione del Verbo, alla nascita di Gesù, ci vuole questo atteggiamento religioso dello stupore:

se io davanti ai misteri non arrivo a questo stupore, la mia fede è semplicemente superficiale, una fede da informatica.

“Come è nato il presepe?  Qual è stata l’intenzione di San Francesco?”, si è chiesto Francesco, citando le parole del santo di Assisi: “Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. “Francesco non vuole realizzare una bella opera d’arte, ma suscitare, attraverso il presepe, lo stupore per l’estrema umiltà del Signore, per i disagi che ha patito, per amore nostro, nella povera grotta di Betlemme”, ha commentato il Papa: “Io ho sottolineato una parola: lo stupore. Questo è importante”, ha aggiunto a braccio.

 “Il presepe nasce come scuola di sobrietà. E questo ha molto da dire anche a noi”,

la tesi di Francesco, secondo il quale “oggi il rischio di smarrire ciò che conta nella vita è grande e paradossalmente aumenta proprio sotto Natale, immersi in un consumismo che ne corrode il significato”. “Io voglio fare dei regali”, ha proseguito a braccio: “È bene, ma quella frenesia di andare a fare le spese, questo attira l’attenzione da un’altra parte e non c’è spazio per quella sobrietà del Natale: non c’è spazio interiore per lo stupore, soltanto per organizzare le feste”. Il presepe, invece, “nasce per riportarci a ciò che conta: a Dio che viene ad abitare in mezzo a noi, ma anche alle altre relazioni essenziali, come la famiglia, presente in Gesù, Giuseppe e Maria, e le persone care, i pastori”.

“Le persone prima delle cose”,

il monito del Papa: “Tante volte noi mettiamo le cose prima delle persone, e questo non funziona”.

“Il presepe di Greccio, oltre che di sobrietà, parla anche di gioia, perché la gioia è una cosa differente dal divertimento”, ha puntualizzato a braccio: “Divertirsi non è una cosa cattiva, è una cosa umana, ma la gioia è più profonda ancora, più umana. E alle volte c’è la tentazione di divertirsi senza gioia: divertirsi facendo rumore, ma la gioia non c’è. È un po’ la figura del pagliaccio, che ride, fa ridere ma il cuore è triste”. “La sobrietà, lo stupore ti porta alla gioia, alla vera gioia, non quella artificiale”, ha detto Francesco ancora fuori testo: “Ma da cosa derivava quella straordinaria gioia natalizia? Non certo dall’avere portato a casa dei regali o dall’aver vissuto celebrazioni fastose. No, era la gioia che trabocca dal cuore quando si tocca con mano la vicinanza di Gesù, la tenerezza di Dio, che non lascia soli, ma consola”. “Vicinanza, tenerezza e compassione: così sono i tre atteggiamenti di Dio”, ha ribadito a braccio: “E guardando il presepe, pregando davanti al presepe, noi vediamo questi tre atteggiamenti di Dio”. “Il presepe è come un piccolo pozzo dal quale attingere la vicinanza di Dio, sorgente della speranza e della gioia”, l’esempio scelto dal Papa: “È come un Vangelo vivo, è un Vangelo domestico. È come il pozzo nella Bibbia, è il luogo dell’incontro, dove portare a Gesù, come hanno fatto i pastori di Betlemme e la gente di Greccio, le attese e le preoccupazioni della vita”. “Portare a Gesù le attese e le preoccupazioni della vita”, la consegna finale: “Se davanti al presepe affidiamo a Gesù quanto abbiamo a cuore, proveremo anche noi una gioia grandissima. Una gioia che viene proprio dalla contemplazione dello spirito di stupore con il quale vado a contemplare questi misteri. Andiamo davanti al presepe! Ognuno guardi e si lasci sentire qualcosa nel cuore”.

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