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Card. Zuppi “la guerra è come una pandemia, bisogna fare di tutto per arrivare alla pace”

C’è un buon rapporto, dialettico”, tra la Chiesa italiana e Papa Francesco. Lo ha detto a Tv2000 il presidente della Cei, il card. Matteo Zuppi, protagonista di una lunga intervista a “Soul”, il programma condotto da Monica Mondo, in onda sabato 30 dicembre alle ore 20.50. “Un buon rapporto per forza – sottolinea il card. Zuppi – lo è in assoluto: se uno è cattolico e non ha buoni rapporti col Papa il problema è che forse ti sei dimenticato di essere cattolico, penso io. Con qualunque Papa ovviamente, poi come sempre nella vita uno può sentire per storia, per sensibilità, più vicine delle parole rispetto ad altre, ma quello è sempre il Papa”. “C’è una chiarissima indicazione di Papa Francesco – aggiunge il card. Zuppi – che la Cei debba essere snella, fare tanto con poco, aiutare a fare tanto, quindi non fare le cose perché abbiamo i mezzi ma usare i mezzi per fare le cose”.
“Qualche volta la Chiesa – prosegue il presidente della Cei a Tv2000 – ha anche una certa idea, a mio parere, deformata pensando di avere il copyright dell’amore, ‘quello vero è il nostro, quello degli altri vale un po’ di meno’. Mentre scopriamo ovviamente che nostro Signore è molto più largo del nostro cuore e ci fa scoprire tante testimonianze bellissime, incredibili, tanti esempi. ‘Ma come, tu hai un maestro che è così grande e sei così fallimentare’, questa sarebbe la domanda vera. La Chiesa non è una ong, ma è molto di più”.
Il cardinale torna anche sulla missione di mediazione per l’Ucraina affidata da Papa Francesco: “Penso che il Papa non aveva in mente il Mozambico come formula, ‘proviamo a vedere se funziona’, aveva in mente quell’espressione che ha usato in Ungheria: una pace creativa, cioè inventarsi la qualunque per arrivare alla pace, trovare tutti i mezzi e coinvolgere tutti quelli che possono aiutare, per giungere nella direzione della pace. Quindi non è detto nemmeno trovarla, nessuno ha l’ambizione, credo che Papa Francesco abbia sufficientemente chiari i propri limiti, i limiti del ruolo del servizio della Chiesa ma anche le proprie responsabilità, che vive e a cui chiama un po’ tutti. Bisogna fare di tutto per arrivare alla pace, perché la guerra fa male, uccide, è una pandemia. Questa sensibilità, che vuol essere creativa, non è che vediamo come va, bisogna inventarsi di tutto. Questa penso fosse la preoccupazione del Papa”.
Zuppi parla infine dei primi passi che lo hanno portato a diventare sacerdote: “Entrare in seminario era un modo per donare la vita, per dare quello che ero, poca roba, ma la poca roba acquista di più se la regali, ecco questo sì, se te la tieni in genere ci fai poco”. E rivela la gioia dei suoi genitori: “Erano orgogliosi, fieri di questo, e papà non mi ha più chiamato Matteo, mi ha sempre chiamato don Matteo. Perché adesso sei don Matteo, non sei più Matteo. Proprio per dire quanta importanza dava alla scelta”.

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