Andrea Zaghi
E’ un caso (ma significativo) che il via libera al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici sia arrivato in un periodo in cui proprio il clima abbia ripreso a dare qualche problema all’agricoltura. A fare i conti con le bizze meteorologiche (temperature troppo alte e disponibilità idriche a macchia di leopardo), è un comparto che vale sempre di più dal punto di vista economico, ma che ha sempre maggiori difficoltà proprio da quello produttivo. Anche per questo l’approvazione del Piano nazionale (Pnacc) è un passo importante, che rischia però di essere vano.
Di “un passo importante per la pianificazione e l’attuazione di azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nel nostro paese”, ha proprio parlato il ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin firmando il decreto che finalmente dà via libera al provvedimento. Ed è proprio il caso di dire “finalmente” perché il Pnacc, come lo stesso ministero spiega, rappresenta lo strumento di attuazione della “strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici” che risale al 2015. Adesso, le istituzioni saranno chiamate a sviluppare sulla propria scala di governo i contenuti del piano, tenendo conto delle specificità dei diversi contesti. Ad essere previste sono ben 361 azioni (nazionali o regionali e suddivise per comparto) che avranno il compito di incidere positivamente sugli effetti provocati dal clima che cambia nei diversi ambiti di attività: dall’energia all’inquinamento, dal dissesto idrogeologico ai trasporti, senza ovviamente trascurare l’agricoltura. Si tratta però di misure ancora tutte da mettere a punto, 250 delle quali indicate come soft (che non richiedono interventi diretti ma di fatto un cambio di abitudini e cultura), altre come green (che necessitano di interventi basati sulla natura) e altre ancora indicate come grey (quelle cioè che hanno bisogno di azioni e investimenti concreti). Ancora da delineare concretamente, come si è detto, cosa dovrà essere fatto partendo comunque dalle previsioni degli effetti (sostanzialmente negativi se non si farà nulla) del cambiamento climatico. In particolare, per l’agricoltura il Piano spiega come “nonostante in alcune aree e per alcune colture si possano avere anche ripercussioni potenzialmente positive, il settore agricolo e, conseguentemente, quello agro-alimentare saranno soggetti ad un generale calo delle capacità produttive, accompagnato da una probabile diminuzione delle caratteristiche qualitative dei prodotti”. Previsioni fosche nei confronti delle quali vengono per ora abbozzate future azioni per migliore l’efficienza delle diverse coltivazioni ma anche per la loro protezione. Grande attenzione anche per la migliore gestione delle risorse idriche per quanto riguarda le irrigazioni, la riduzione delle perdite d’acqua, l’equilibro tra usi diversi delle risorse idriche.
Tutto, però, con un limite importante: il Pnacc è totalmente senza fondi. Per questo, accanto agli applausi per essere finalmente arrivati ad un decreto, sono le molte perplessità. Così, ad esempio, Legambiente ha subito commentato: “Ricordiamo al governo che per attuare il Pnacc sarà fondamentale stanziare le risorse economiche necessarie ad oggi ancora assenti, non previste neanche nell’ultima legge di bilancio, altrimenti il rischio è che il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici resti solo sulla carta”. Mentre l’Asvis (l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile), ha aggiunto: “Va ricordato che il Pnacc non beneficia di specifiche risorse finanziarie: per questo, bisogna urgentemente valutare se e come gli investimenti previsti dal Pnrr o quelli finanziati da altri strumenti, come i fondi europei e nazionali per la coesione, possano contribuire alla realizzazione del Piano”. Un’operazione che, tra l’altro, andrebbe condotta entro il prossimo marzo per arrivare in tempo con il calendario della Finanziaria 2025.
Grandi speranze, dunque, che non devono essere deluse. Intanto, Coldiretti, nelle stesse ore della firma del decreto ha sottolineato: “Il moltiplicarsi di eventi estremi lungo la penisola hanno provocato nel corso del 2023 oltre 6 miliardi di danni all’agricoltura nazionale tra coltivazioni e infrastrutture con grandinate, trombe d’aria, bombe d’acqua, ondate di calore e tempeste di vento. Il risultato è il crollo dei raccolti nazionali che mette a rischio gli alimenti base della dieta mediterranea”. Senza dire di quanto sta accadendo in questi giorni: il caldo anomalo dell’inverno ha già fatto sorgere sintomi di stress idrico.
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