Patrizia Caiffa
In Ecuador “si è diffuso il terrore tra la popolazione. Sono tutti chiusi in casa, i trasporti sono bloccati, come pure i centri medici, le università e i terminal dei bus”. A raccontare al Sir la situazione di caos in cui è sprofondato il Paese latinoamericano, con l’ondata di violenza innescata da bande di criminalità organizzata legate al traffico di droga, è suor Chiara Dalla Costa, delle Suore Terziarie Francescane Elisabettine. Suor Chiara, padovana, è tornata di recente dall’Ecuador dopo otto anni di missione in un dispensario medico a Duran, nella diocesi di San Jacinto, suffraganea dell’arcidiocesi di Guayaquil, la capitale economica nel sud del Paese, dove è stata assaltata la tv pubblica locale, con la presa in ostaggio dei giornalisti. Le immagini in diretta diffuse da tv e social hanno scosso l’opinione pubblica e preoccupato la comunità internazionale. Secondo le prime testimonianze la banda di criminali che ha attaccato la tv di Guayaquil sarebbe legata al potente cartello messicano di Jalisco nuova generazione (Cjng) e farebbero parte della gang dei Tiguerones, che insieme a ‘los Lobos’ (i Lupi), gestiscono le attività dei narcotrafficanti di Jalisco nella regione.
Il neo presidente Daniel Noboa ha subito dichiarato lo stato di emergenza per 60 giorni e mobilitato su tutto il territorio le forze armate ecuadoriane, che hanno annunciato oggi di aver liberato 41 ostaggi, ucciso cinque “terroristi” e arrestato altre 329 persone. Pare siano stati sventati tre attentati con autobomba nella capitale Quito. Non esistono bilanci ufficiali ma polizia e amministrazioni locali hanno indicato 13 morti. In questo scenario, alcune attività commerciali hanno scelto di chiudere i battenti e il Ministero dell’Istruzione ha invitato le scuole situate nelle vicinanze delle carceri a insegnare online. Martedì il governo ha ordinato l’evacuazione degli edifici pubblici come misura precauzionale e chiesto di lavorare in smart working. Gli Stati Uniti hanno già annunciato di essere pronti a fornire sostegno all’Ecuador, come pure l’Argentina e il Brasile.
Due religiose bloccate a Quito, un’altra sola in casa. Le suore Elisabettine sono presenti in Ecuador dal 1981 in diverse zone del Paese e si occupano di pastorale e carità, a supporto delle diocesi. “Anche il nostro centro medico è chiuso, i medici non possono andare a lavorare – prosegue la religiosa -. Due nostre consorelle erano sul bus che le riportava a casa da Quito. Ma la vettura è tornata indietro e ora sono bloccate in un albergo a Quito. La terza consorella è rimasta da sola nella nostra casa. Siamo molto preoccupate”.
“C’è paura che la violenza si diffonda ancora di più, è pericoloso spostarsi
– dice suor Chiara -. Anche perché l’esercito è autorizzato a sparare a prima vista. Li chiamano ‘terroristi’ ma si vede che sono ragazzi ingaggiati in zone povere e usati per fare quello che hanno fatto. Quale sia lo scopo e gli interessi che ci sono dietro non è chiaro”. “Due anni fa hanno le bande criminali hanno fatto trovare due persone impiccate, un chiaro messaggio intimidatorio per dire: fate quello che vogliamo noi – ricorda la religiosa -. Bruciano negozi, si uccidono tra loro per contendersi le piazze della droga. Ora sembra si siano uniti contro lo Stato. Anche la minaccia ai giornalisti è chiara: non diffondete notizie contro di noi”.
Fino a qualche anno fa l’Ecuador era un Paese tranquillo, anche se con ampie fasce di povertà e la disuguaglianza sociale tipica di tutta l’America Latina. Era facile viaggiare tra i suoi vulcani, le meravigliose Ande e i colorati mercati abitati dalle popolazioni indigene, la costa frequentata dalle balene. Ora è diventato il Paese più violento dell’intera regione, con circa 7.600 persone uccise nel 2023, pari a oltre 40 omicidi ogni 100.000 abitanti. Si contano circa 21 gruppi che fanno parte del crimine organizzato, le carceri (disumane) sono piene all’inverosimile, tanto che il presidente Noboa ha annunciato l’espulsione, questa settimana, di 1.500 detenuti stranieri, da inviare nei loro Paesi d’origine, a partire da Colombia, Venezuela e Perù. Si parla di 139 persone ancora in ostaggio in almeno cinque prigioni (a Cuenca, Azogues, Napo, Ambato e Latacunga), comprese guardie e personale amministrativo, dove i reclusi si sono ribellati per protestare contro la dura politica che il presidente Noboa vuole implementare nel sistema carcerario.
Cosa sta succedendo in America Latina? L’Ecuador, prosegue la missionaria, “non è una zona di produzione della cocaina come Colombia e Perù ma è territorio di transito verso gli Stati Uniti. È come un grande magazzino dove nascondono la droga. Ci sono tanti cartelli di narcos che seminano il terrore. Ci chiediamo cosa sta succedendo. È molto strana tutta l’instabilità che si sta creando in tanti Paesi dell’America Latina. Ricorda quello che è accaduto negli anni ’70-’80-’90, con l’appoggio degli Stati Uniti alle dittature e le guerre civili interne. L’impressione è che ci sia la volontà di destabilizzare il Paese”.