SAN BENEDETTO DEL TRONTO – «Non distogliere lo sguardo dal povero» (Tb 4,7) non è solo il testamento spirituale che nel Libro di Tobia il padre Tobi lascia al figlio, ma è anche il titolo che Papa Francesco ha voluto dare al Messaggio scritto in occasione della VII Giornata Mondiale dei Poveri lo scorso Novembre 2023. Anche noi operatori della comunicazione vogliamo fare la nostra parte, affinché mai si distolga lo sguardo dai poveri. Per tale ragione, ad inizio di questo nuovo anno 2024, abbiamo incontrato Don Marco Pagniello, sacerdote pescarese classe 1971, già direttore della Caritas Diocesana di Pescara-Penne dal 2006 al 2020, ora alla guida di Caritas Italiana dal Novembre 2021.
Lei dirige Caritas Italiana ormai da due anni e quindi gode di un punto di osservazione privilegiato verso i poveri. Quali sono le povertà presenti in Italia attualmente e soprattutto quali sono le priorità di azione?
La priorità più grande in questo momento credo sia l’animazione delle comunità cristiane, che sono chiamate ad essere più inclusive, sempre più capaci di incontrare e riconoscere i volti dei poveri. Non ci sono solo i poveri economici, non ci sono solo i migranti. Purtroppo tra i poveri oggi noi annoveriamo anche i ragazzi, i giovani, che rinunciano a volte ai loro sogni e si accontentano di una vita anche mediocre. Abbiamo bisogno invece di comunità che sappiano costruire possibilità, occasioni, opportunità per tutti. Credo che questo sia il primo compito da assolvere. In secondo luogo ci prendiamo poi anche la responsabilità di studiare i fenomeni, di saperli leggere e, nel discernimento, capire ciò che Dio stesso ci chiede attraverso i fatti della vita. Terzo ed ultimo compito – che in realtà è il primo da cui bisogna partire sempre – è che, come ci ha ricordato più volte Papa Francesco, in ogni situazione siamo chiamati a dare la priorità ai poveri, per servirli ed accompagnarli, con l’obiettivo di lasciarli poi camminare autonomamente, sganciandoci da loro. Noi non siamo per l’assistenzialismo, bensì per dare loro reali possibilità di vivere una vita dignitosa. Si parte quindi dai poveri per avviare processi di giustizia sociale e di solidarietà vera, servendoli, ma allo stesso tempo accompagnandoli per esigere quelli che sono i loro diritti, così da renderli indipendenti ed autonomi.
È uscita al termine dell’anno 2023 la consueta classifica annuale Forbes delle persone più ricche d’Italia e del mondo che conferma, ancora una volta, lo squilibrio della distribuzione della ricchezza. I dati sono molto lontani dalla logica del Natale appena vissuto che invece ricorda la nascita di un Dio venuto per condividere. Come può un cristiano, nel suo piccolo, contrastare questo squilibrio?
Prima di tutto può prendere coscienza del fatto che nel mondo cresce il tema delle disuguaglianze, non solo dovute alle povertà ma anche delle risorse. Non c’è una distribuzione giusta delle risorse neanche nel nostro Paese: ad esempio, un conto è curarsi al Sud della nostra Penisola, un conto è al Nord. Questo per dire che la prima cosa che il cristiano è chiamato a fare è informarsi e capire, conoscere sui territori ed agire di conseguenza. Qui penso alla prima forma di carità che è la politica. Non faccio appello a quella partitica, ma all’impegno di cittadini che, con una mano sulla Costituzione e l’altra sul Vangelo, cercano di costruire una società più giusta e più equa. Concretamente poi, credo che ogni cristiano, ogni discepolo del Signore Risorto che è sceso sulla terra – come ci ha appena ricordato il grande mistero del Natale – è chiamato a vivere la condivisione, così come Dio ha condiviso con noi la sua regalità. Così come Dio ha condiviso se stesso donandoci Suo Figlio, noi, che siamo discepoli di questo Figlio, siamo chiamati a condividere la nostra vita, le nostre risorse, ciò che siamo, i nostri talenti, per creare una società più giusta. Concretamente si parte dalla condivisione dei beni. Se siamo capaci di condividere i nostri beni, saremo capaci di condividere anche bene più preziosi, più grandi.
I vari presidi diocesani e parrocchiali di Caritas Italiana sono spesso di grande supporto alle istituzioni, se non addirittura strumenti di cui anche le Amministrazioni si servono. Perché è così prezioso il servizio offerto dai volontari della Caritas e come rafforzare questa rete di collaborazione per renderla costante nel tempo?
Per noi lavorare in rete è una scelta di corresponsabilità, perché non vogliamo fare da soli, bensì vogliamo lavorare per il bene di una società giusta, quindi insieme con tutti, a partire dalle Istituzioni che abitano, come noi, lo stesso territorio. Noi vogliamo fare la nostra parte. Quindi non da soli, ma neanche accettando la delega di chi vuole affidare tutto a Caritas o ad altre realtà simili. Credo che il tempo che stiamo vivendo ci richieda innanzitutto di riconoscere il valore di questa rete, una rete che vada oltre il cambio delle Amministrazioni, oltre il singolo progetto, oltre il mero finanziamento del momento.
Tra i temi che la Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto ha scelto di approfondire in questo tratto del cammino sinodale c’è la missione secondo lo stile di prossimità. Cosa si intende con questa espressione?
Per evangelizzare è necessario passare attraverso la relazione con l’altro, quella che Papa Francesco chiama la “cultura dell’Altro“. Caritas, con il suo servizio, ha la possibilità di incontrare tanti volti. Per noi, perciò, prossimità significa entrare in relazione con l’Altro, accoglierLo per ciò che è, prenderci cura dell’Altro e, quando si sono create le condizioni, annunciare la Buona Notizia del Vangelo. Questo perché – come dice il Pontefice – noi non dobbiamo fare proseliti, bensì evangelizzare per attrazione. Una comunità bella e buona dice più di tante altre parole che vengono fuori dai nostri pulpiti. Credo che una comunità che testimonia la bellezza del Vangelo, faccia molto di più di tanti progetti pastorali. Dobbiamo avere il coraggio di uscire dalle nostre zone di confort ed andare incontro agli altri.
Papa Francesco ha detto di usare nella missione la creatività dello Spirito. La nostra Caritas diocesana, con l’intento di rafforzare o creare relazioni fraterne, ha attuato molteplici iniziative. Quali suggerimenti può darci per migliorare ancora di più questo aspetto?
La Caritas di San San Benedetto del Tronto è conosciuta da noi come una Caritas molto creativa.
La visione del film “Io Capitano” a cui hanno assistito ospiti, volontari e amici della vostra Caritas Diocesana o l’apertura di uno spazio Caritas presso i locali dell’ex Cinema Delle Palme per sensibilizzare la comunità e condividere con essa i progetti realizzati, non sono altro che animazione di comunità, che per me è la prima chiamata, quella fondamentale a cui ogni territorio, ogni città, ogni Chiesa, deve rispondere. Credo che la vera sfida per tutte le Caritas sia quella di favorire momenti di incontro, riflessione, condivisione, con i poveri e con le altre persone in difficoltà, affinché possano dirci direttamente cosa si aspettano da noi.
Per concludere una battuta sull’eventualità che la Caritas diventi una ONG. Esiste questo rischio?
Assolutamente no. Caritas, soprattutto in Italia, mantiene molto forte il suo legame con la Chiesa e vive sempre la sua missione di evangelizzazione.
Le nostre opere segno sono – come direbbe Papa Francesco – opere viventi, opere parlanti che annunciano e testimoniano il Vangelo. Non vogliamo assolutamente essere una ONG, non perché siamo migliori, ma perché vogliamo custodire in maniera forte ed importante la nostra identità.