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Regione Veneto e suicidio assistito: ragionare insieme senza polemica

(Foto Creative Commons)

Dopo un Consiglio particolarmente prolungato, martedì scorso la Regione Veneto ha approvato il “rinvio in commissione” della proposta di legge d’iniziativa popolare che mirava a regolamentare il ricorso al suicidio assistito. Elaborata e promossa dall’Associazione Luca Coscioni, la proposta di legge recava il titolo: “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale”. Anche se non si tratta di una vera e propria bocciatura, il voto di martedì suona come un affossamento “de facto” della proposta di legge. Il rinvio in commissione è stato votato dopo che erano stati bocciati l’articolo 1 e, soprattutto, l’articolo 2 che costituisce un punto fondamentale della proposta di legge (quindi, caduto questo articolo, l’intero dispositivo si è sgretolato). Per approvare la proposta di legge, serviva la maggioranza assoluta, vale a dire 26 voti (51 sono i membri del Consiglio regionale): nelle votazioni per i primi due articoli, invece, i favorevoli sono stati 25 (quindi uno in meno rispetto a quanto richiesto), contro i 22 contrari, i 3 astenuti e un assente.

Per “suicidio assistito” si intende quella procedura con cui si autorizza, a determinate condizioni, l’autosomministrazione di un farmaco letale ad un paziente che ne faccia richiesta. Se è vero che in Italia tale ricorso non è sanzionabile in virtù di una sentenza della Corte Costituzionale (la citata n. 242 del 2019), non esiste – né a livello regionale né a livello nazionale – una legge che ne definisca i tempi e le modalità: un effettivo “vuoto legislativo” che andrebbe colmato. Su questo delicato argomento, si erano espressi nell’ottobre scorso anche i Vescovi e la Pastorale della Salute del Nordest, con una “Nota” dal titolo “Suicidio assistito o malati assistiti?”. Molto critica sul fatto che siano le Regioni a prendere l’iniziativa su un tema che spetta al “legislatore nazionale” e quindi al Parlamento, la Nota definiva il suicidio assistito “una scorciatoia”, come ogni forma di eutanasia, perché induce il malato “a percepirsi come un peso a causa della sua malattia”, e ribadiva l’urgenza della promozione di politiche sanitarie che favoriscano la conoscenza e l’uso delle cure palliative, la formazione del personale e la presenza degli “hospice” dove accompagnare dignitosamente i malati terminali.

Al netto delle questioni di carattere giuridico (spetta ad una legge regionale regolamentare un tale ambito?), delle implicazioni politiche del voto (la maggioranza si è divisa?) e degli strascichi successivi (inevitabilmente polemici?), va detto che il dibattito del Consiglio regionale del Veneto è stato caratterizzato da una pacatezza e da una profondità che non sono così consueti nell’agone politico. Nei rispettivi interventi, consiglieri di maggioranza e di minoranza, liberi di votare (almeno formalmente) secondo le proprie convinzioni, hanno manifestato la consapevolezza della complessità e della delicatezza della questione riguardante il “fine vita”. Hanno messo in gioco se stessi, esprimendo il proprio punto di vista sulla libertà individuale, sulla morte e sul dolore, manifestando più volte “rispetto” nei confronti di chi avesse una visione diversa. Si sono appellati all’esperienza personale, chiamando in causa uomini e donne (a volte anche storie di familiari e amici) che avevano attraversato situazioni di malattia e di sofferenza. È risuonato più volte il riferimento alla laicità dello Stato e alla libertà dell’individuo, ma si è colto anche il confronto schietto con le istanze che provengono dalla fede e dalla religione (cattolica). Si è parlato molto – e in modo trasversale alle forze politiche – di “cure palliative” e di quanto sia necessario che il Servizio Sanitario le renda effettivamente disponibili per i malati gravi…

Senza voler idealizzare nulla, il dibattito del Consiglio regionale ha tuttavia dato l’idea di quello che potrebbe essere – per dirla con la Nota dei vescovi del Nordest – “uno spazio etico nel dibattito pubblico”, che “le comunità, specialmente quelle cristiane” dovrebbero sentirsi stimolate a favorire in tempi di “crisi di luoghi di confronto e di deliberazione etica”. E forse è emerso anche un modo diverso di fare politica, in cui – almeno per una volta – si lascia da parte lo spirito di polemica e si cerca di ragionare insieme, e in modo trasversale rispetto alle appartenenze di partito, su un problema che riguarda l’intera comunità civile.

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