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Libano. Padre Abboud: “Nessuno vuole un’altra guerra”

Foto: AFP

Daniele Rocchi

“Il Libano continua a vivere perché c’è tanta fede, hanno distrutto le nostre case, hanno preso i nostri averi e il nostro futuro, ma non possono rubare la nostra fede”: padre Michel Abboud è il presidente di Caritas Libano e in questi giorni è in Italia per una serie di appuntamenti utili a far conoscere la realtà libanese segnata da una gravissima crisi sociale ed economica. Situazione che adesso rischia di sfuggire di mano, dopo l’attacco terroristico di Hamas a Israele del 7 ottobre scorso e le tensioni crescenti ai confini sud del Paese.

Padre Michel Abboud, Caritas Libano

Gaza: paura di allargamento del conflitto. La guerra a Gaza, dice al Sir, “pone il Libano in grave rischio, come dimostrano i conflitti precedenti e le tensioni crescenti al confine israeliano con Hezbollah, milizie sciite controllate dall’Iran. Sarà quest’ultimo a decidere se entrare in guerra o meno con Israele.

Nessuno in Libano vuole un’altra guerra. L’angoscia dei libanesi per un allargamento del conflitto è palpabile.

Sentire dire da Israele che, in caso di guerra, Beirut e il Libano diventeranno come Gaza provoca paura per il futuro nella popolazione. Tante famiglie – aggiunge padre Abboud – pensano a emigrare. Sarebbe un colpo letale per il Paese dopo l’esodo di 200mila libanesi provocato dall’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto del 2020”.

Stallo politico. Debole economicamente, spiega il presidente della Caritas, “il Libano si trova da tempo in uno stallo politico. Il Parlamento non riesce ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica e il Governo di Najib Mikati marcia diviso al suo interno”. Il quadro è preoccupante e vede per la prima volta, nella storia del Paese, la mancata elezione del presidente della Repubblica sovrapporsi ad un Governo dimissionario in carica solo per gli affari correnti. Nessuna nuova legge può essere promulgata senza avallo del presidente della Repubblica. Stesso discorso per le auspicate riforme richieste dal Fondo monetario internazionale in cambio dei finanziamenti necessari per uscire dalla crisi. Le sessioni parlamentari convocate per eleggere il nuovo presidente non hanno mai raggiunto il numero legale cosa che ha spinto, dice padre Abboud, “il patriarca maronita, card. Bechara Rai, a chiedere ripetutamente ai deputati di adempiere all’obbligo costituzionale di eleggere un nuovo presidente della Repubblica (per Costituzione deve essere un cattolico maronita, ndr.), salvando il Paese dal crollo e dall’instabilità”. Tuttavia, aggiunge, “tutti sanno che questa decisione non sarà presa all’interno del Libano, ma fuori dei suoi confini, segno chiaro che il Paese è condizionato da fattori geopolitici esterni”.

Libano: proteste anti-governative a Beirut e a Tripoli (Foto ANSA/SIR)

Parola d’ordine “sopravvivere”. Nell’attesa di una ripresa politica il Libano ora deve pensare a sopravvivere: “Siamo attraversati da una crisi economico-sociale gravissima che si è aggiunta a quella della politica, della giustizia, delle banche – sottolinea padre Abboud -. Una delle priorità per i libanesi è curarsi. Tante persone, oggi in Libano, muoiono perché non possono andare in ospedale. A riguardo Caritas Libano, insieme a Caritas Italiana e alla Cei, ha in corso dei progetti per aiutare i più bisognosi a sostenere le cure ospedaliere. Abbiamo salvato tante vite, ma sono moltissime quelle che aspettano aiuto”.

I nuovi poveri. “La svalutazione della lira libanese e l’inflazione hanno ridotto il potere di acquisto delle famiglie che con i salari attuali non riescono più a fare fronte ai loro bisogni primari. La crisi attuale – rivela il presidente della Caritas – ha prodotto migliaia di nuovi poveri: chi prima veniva alla Caritas per fare beneficienza ai più bisognosi oggi viene a chiedere aiuto perché non ha più niente. Ci sono poi famiglie che hanno venduto tutto per tirare avanti e altre che dispongono di soldi depositati in banca ma non possono prelevarli perché bloccati. Tanti studenti hanno smesso di studiare. I loro genitori non riescono più a pagare le rette scolastiche”.

“Questo è il volto nascosto della attuale crisi libanese: è il volto di persone che non sono abituate a chiedere aiuto e per questo soffrono in silenzio. Solo quando stanno per crollare allora vengono alla Caritas”.

Oggi il Libano “si tiene in piedi grazie alle rimesse dei libanesi della diaspora che mandano soldi ai loro parenti che così possono sopravvivere alla crisi”. Si stimano in 12 milioni i libanesi della diaspora, vivono soprattutto negli Usa, in Australia, in Canada, in Brasile, in Europa. Tuttavia quelli in contatto stretto con i loro parenti rimasti in patria sono circa 8 milioni.

Foto Caritas Libano

Rifugiati siriani. Altro fronte aperto di crisi è quello dei rifugiati siriani, 1,5 milioni su una popolazione di circa 7 milioni. “Allo scoppio della guerra in Siria, nel 2011 – ricorda padre Abboud – il Libano si prodigò nell’accoglienza dei siriani, come fece a suo tempo con i palestinesi e gli iracheni. Questo nonostante i libanesi vedano la Siria come una potenza dominatrice del Libano. Attualmente i siriani rifugiati in Libano godono di aiuti internazionali che, in questa fase della crisi economica, li pongono in una condizione migliore dei libanesi che hanno cominciato a protestare e a chiedere il ritorno in patria dei rifugiati”. Una vera e propria guerra tra poveri, come ribadito, in una intervista al Sir, anche dal patriarca maronita, card. Rai: “Il Libano chiede per i siriani il ritorno volontario, dignitoso e sicuro nel loro Paese. Ma nessuno vi farà ritorno perché la comunità internazionale versa loro mensilmente fino a 250 dollari, una cifra che nemmeno un alto funzionario libanese tocca in questo momento. Alla comunità internazionale diciamo di aiutarli in Siria, ma la risposta è sempre la stessa: mai finché Bashar Assad resta a capo della Siria”.

Foto Caritas Libano

L’impegno della Caritas. Caritas Libano, conclude padre Abboud, “da 50 anni è un punto di riferimento del popolo libanese. Abbiamo circa 4mila volontari sparsi in tutto il Paese che operano in almeno 100 centri. Riceviamo tanti aiuti da vari enti come la Caritas italiana e i vescovi italiani. Lo sforzo adesso è di tenere aperti questi centri per continuare a fare la nostra parte nel campo sociale, sanitario, economico e scolastico”.

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