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Giovanni Rossi: “Del mio prozio, padre Damiani, mi ha sempre affascinato il suo spirito cristiano”

Giovanni Rossi

SAN BENEDETTO DEL TRONTO –  “Il Tesoro” del Frate è il primo romanzo di Giovanni Rossi e trae ispirazione da fatti davvero accaduti e personaggi realmente esistiti appartenenti alla sua famiglia, il tutto arricchito da invenzioni letterarie e uno stile appassionante. Un libro che rimanda ad una riflessione umana e mistica.

Pubblicato per il Gruppo Albatros, quando inizia a scrivere “Il Tesoro del Frate”?
In realtà ho iniziato a scrivere le prime pagine di questo romanzo nel 2018, dopo la morte di mia madre. Ma poi, per alcuni anni ho deciso di accantonare la scrittura. In seguito, nel 2022, ho ripreso da dove avevo lasciato, per concludere, qualche mese dopo, questo mio primo progetto letterario. A gennaio dello scorso anno ho confezionato un’autopubblicazione. Trascorsa qualche settimana mi ha contattato il Gruppo Albatros Il Filo per propormi una collaborazione che si è conclusa con la pubblicazione definitiva avvenuta scorso settembre.

Nella stesura di questo romanzo trae ispirazione anche da fatti realmente accaduti e che riguardano la sua famiglia.
Sì. In particolare nella stesura del mio romanzo prendo spunto dai ricordi dei racconti che mi faceva mia nonna e che riguardavano la vita di un mio prozio, padre Sigismondo Damiani. Un frate che porta con sé una storia realmente accaduta durante la Seconda guerra mondiale e che a mio avviso merita di essere ricordata e raccontata, dunque tramandata. Mi ha sempre colpito e affascinato il suo spirito cristiano nell’aiutare il prossimo, senza lasciare indietro nessuno. Da ragazzino non riuscivo a comprendere come una persona come lui, un frate che aiutava ed accoglieva chi era in difficoltà, potesse essere uccisa. Forse proprio per aver teso la mano ad un bisognoso “di troppo”; ma qui lascio la riflessione al lettore.

La fantasia ha fatto il resto.
I fatti storici e gli avvenimenti frutto della mia fantasia si fondono per dar vita ad un’appassionante ricerca di un “Tesoro” che si cela tra passato e presente. Credo che questo libro possa essere catalogato come un breve romanzo storico e autobiografico.

Attraverso queste pagine il lettore trova anche spunto per una profonda riflessione. Ci può spiegare meglio?
Attraverso una piacevole e stimolante lettura, che cattura l’attenzione, spero anche di invogliare il lettore ad una riflessione sui modi di fare e sui comportamenti apparentemente tipici di altri tempi, e che a volte sembrano non esserci più. Insomma si tratta di una serie di riflessioni su temi, a mio avviso, di sconvolgente attualità.

Laureato in Economia e Commercio questo è il suo primo romanzo, ha in cantiere altri progetti letterari?
A dire la verità ho un’idea in mente. Al momento ho preso solo qualche appunto a riguardo, e non so se riuscirò a trasformarli in un nuovo romanzo da dare alle stampe.

Di seguito riportiamo le prime righe del secondo capitolo: “Gennaio 1934 – Arrivo a San Liberato”

Quando Padre Sigismondo Damiani arrivò a San Liberato, faceva molto freddo. Per giungere all’eremo aveva affrontato un percorso impervio che negli ultimi chilometri era poco più di un sentiero. Il monastero si trovava nel mezzo di una selva che lo nascondeva e lo proteggeva dal resto del mondo creando un’atmosfera di tranquillità, serenità e pace, tale da rigenerare l’animo umano e farlo calare in una profonda spiritualità. Un luogo mistico, di riflessione e preghiera, che permetteva a chiunque di mettersi in relazione con Dio. Nonostante la rigida temperatura Padre Sigismondo indossava soltanto un saio grossolano con sopra una mantella ruvida ricavata da un tessuto grezzo, alla vita una corda con tre nodi e ai piedi nudi dei sandali.

Luigina Pezzoli: