Andrea Regimenti
Operai, sindacati e imprenditori hanno manifestato attorno al perimetro dello stabilimento ex Ilva di Taranto per chiedere al Governo di estromettere la multinazionale dalla compagine societaria di Acciaierie d’Italia ArcelorMittal e assumere il controllo dello stabilimento. ArcelorMittal al momento detiene il 62% delle quote, mentre lnvitalia è in minoranza con il 38%. Tra i soci non c’è accordo sulla ricapitalizzazione e l’acquisto degli asset e diventa sempre più probabile il ricorso all’amministrazione straordinaria. La mobilitazione di ieri, organizzata dalle sigle metalmeccaniche, che denunciano il progressivo spegnimento degli impianti, è solo l’ultima di una serie di proteste che proseguono da anni, per diversi motivi legati soprattutto alla “convivenza” tra diritto a lavo e alla salute. Per saperne di più su cosa sta succedendo in queste ore sul territorio tarantino il Sir ha parlato con Gianni Liviano, consigliere comunale a Taranto, già rappresentante laicale della commissione episcopale italiana per le missioni e profondo conoscitore della vicenda Ilva.
Un numero molto elevato di persone ha partecipato a questa marcia di protesta all’interno dell’area ex Ilva. Nel frattempo i sindacati stanno denunciando il progressivo spegnimento degli altoforni. È completamente assente la manutenzione degli impianti da parte di ArcelorMittal, che ha prodotto un maggiore numero di sostanze inquinanti.
Quindi, nonostante si sia ridotta la produzione non si è ridotto l’inquinamento prodotto. Alcuni dati sono addirittura in rialzo.
Ieri tra i manifestanti c’erano molte persone di aziende esterne collegate all’Ilva. Anche loro in profonda difficoltà.
La situazione ovviamente si ripercuote a cascata su tutto l’indotto. Alcuni dipendenti di imprese collegate all’Ilva hanno già ricevuto una lettera di licenziamento per il primo febbraio. Per ora sono numeri esigui, ma sono enormi se si pensa alla vita di queste persone.
È un momento di grandi interrogativi.
Taranto è una città attenzionata in questo momento. Ci sono molti imput ma in presenza di una politica debole si fa fatica ad intravedere un’uscita e a comprendere le prospettive reali di sviluppo della città. Non sappiamo quanto potrà durare l’Ilva ma non può essere l’unica prospettiva per la città.
Cosa sta facendo la politica?
La politica in questo momento vive un momento delicato. Sabato si voterà per la mozione di sfiducia al sindaco. Sono circa tredici i consiglieri promotori di questa mozione.
Tuttavia queste vicende sul territorio rischiano di far chiudere l’acciaieria e allo stesso tempo non soddisfare le richieste di abbassamento dell’inquinamento.
La politica è molto debole, ma è figlia della debolezza della comunità. La nostra è una comunità debole che produce una classe politica insufficiente.
Che futuro si prospetta?
Credo che la strada sia quella di un fallimento di Acciaierie d’Italia e la ricerca di un nuovo acquirente da parte del Governo. Un’ipotesi è quella della transizione verde per cui stanno arrivando dei fondi, però il problema è sempre il medesimo.
Da una parte ci sono operai e dipendenti che protestano per avere un futuro all’interno dell’azienda e dall’altra c’è il mondo di quelli che non vedono l’ora che l’impresa chiuda perché individuata come la fonte di inquinamento e dell’aumento di tumori sul territorio.