Elisabetta Gramolini
Si attende ancora il secondo passaggio alla Camera, ma l’approvazione in Senato del ddl Calderoli sull’autonomia differenziata il 23 gennaio scorso fa già discutere. In particolare, il decreto solleva dubbi fra chi conosce da vicino il terzo settore e il mondo del volontariato. Ma anche chi studia i servizi che vengono erogati per agevolare le condizioni delle fasce più fragili della popolazione non risparmia remore. Per Giorgio Fiorentini, docente di management delle imprese sociali all’Università Bocconi di Milano, la norma sarà un banco di prova per le imprese impegnate nel no profit, chiamate più di prima a rispondere ai bisogni dei più deboli, in tutte le materie che le Regioni acquisiranno.
Come si legge nel testo del ddl, si prevede che “l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione (Lep) e riguardanti tutte le Regioni del Paese”. Quindi anche dopo il via libera delle Camere sarà necessario elaborare i Lep. “I tempi – riconosce il professor Fiorentini – saranno molto lunghi. Sui Lep gira tutto intorno. Data l’esperienza dei Lea (Livelli essenziali di assistenza, ndr) nella sanità, sappiamo quanto non sia facile. Per i Lep non ci si potrà fermare agli indicatori, bisognerà capire che tipo di impatto avranno prima e dopo l’erogazione della prestazione”.
Professore, le lacune nell’offerta delle prestazioni dovranno essere colmate dal Terzo settore?
Per il terzo settore la norma porterà a una area di ambito di attività decisamente più ampia, in senso sia orizzontale sia verticale, perché ci sarà bisogno di avere maggiori capacità professionali per svolgere una funzione riparativa dei vuoti ma anche per innescare una funzione di sviluppo dei servizi alle fasce deboli.
Il decreto dice chiaramente che non ci dovranno essere ulteriori aggravi per la finanza pubblica.
Il ddl richiama l’articolo 119 della Costituzione per il quale bisogna istituire “un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante”.Bisogna fare dei calcoli, non si potrà più fare ragionamenti alti, ma ragionamenti sulla quantificazione delle prestazioni. Altrimenti il rischio è che il decreto resti lettera morta.Le Regioni si troveranno a spendere in autonomia i prelievi fiscali per rispondere alle esigenze della popolazione e per fare ciò andranno a ricercare sul mercato chi può offrire servizi anche a costi inferiori. Tutto questo potrebbe portare a un ampliamento di alcune attività di terziarizzazione che svolgeranno il loro ruolo. Per la sanità privata, ad esempio, questa dovrà essere offerta dalle imprese sociali che hanno dividendi minimali e che quindi non seguono la logica di massimizzazione del profitto.
Il Terzo settore sarà capace di rispondere a queste maggiori richieste?
Per l’autonomia differenziata, dovremmo distinguere due tipi di Terzo settore: quello che riceverà finanziamenti dagli enti locali collegati ai Lep e da altre fonti di finanziamento.Già Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna hanno detto che avranno la capacità fiscale di gestire le 23 materie previste dal ddl. Una volta fatto questo, c’è il rapporto con il Terzo settore che può essere una realtà vincente perché ha dei costi inferiori. Il secondo tipo di Terzo settore è rappresentato dal volontariato che non ha di per sé dei costi interni, se non minimali. Il volontariato dovrà però sviluppare quote associative, donazioni e in generale un sistema di raccolta fondi per sostenere la domanda nelle aree più deboli. Nel Sud perciò il ruolo del Terzo settore potrà rivelarsi più forte.
Sono però aree dove è più difficile fare fundraising.
È vero e dipenderà dalla capacità di fare professionalmente un’attività di recupero dei flussi di finanziamento.Di sicuro è necessario un cambio di passo e pensare che il Terzo settore sia in una fase di transizione verso una formula che tenga conto del sociale e dell’aspetto economico.È chiaro che ci vogliono delle risorse per professionalizzare i volontari; il tempo che viene dato deve essere qualificato. Nella sanità, per esempio, è evidente che avremo un aumento della domanda dalle Regioni meno attrezzate per cui andrà incrementata la produttività di medici, infermieri e operatori socio-sanitari. Il volontariato, al contempo, avrà la funzione più forte di oggi di curare il benessere dei pazienti. Alcune Regioni sanno già che il Terzo settore è un valore aggiunto per erogare le prestazioni, per limitare il rischio delle diseguaglianze sarà importante sviluppare le attività del no profit e di tutto il Terzo settore che, va ricordato, non è per i ricchi ma per le fasce più deboli.