Rubrica immigrazione
Per continuare il lavoro interculturale nella diocesi di San Benedetto del Tronto, Ripatransone e Montalto delle Marche, vorrei far conoscere ai lettori alcune direttive circa l’accesso al mercato del lavoro da parte degli immigrati.
L’ingresso al mercato del lavoro italiano avviene con modalità differenti per i lavoratori comunitari ed extracomunitari.
Per i lavoratori comunitari non sono previste formalità particolari mentre gli extracomunitari devono attenersi all’iter del Testo Unico sull’Immigrazione (che incorpora disposizioni concernenti la disciplina dell’Immigrazione).
Per i lavoratori provenienti dai paesi non comunitari che eseguono lavori di tipo subordinato, stagionale o autonomo è possibile l’accesso alle quote annuali stabilite dal Governo con appositi decreti; l’ultimo decreto flussi per lavoro, approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 settembre 2023, ha permesso l’ingresso in Italia a 136.000 persone per l’anno 2023 (151.000 per l’anno 2024 e 165.000 per il 2025).
Tuttavia, se analizziamo i dati di coloro che nel 2023 sono arrivati in Italia per motivi di lavoro e coloro che hanno chiesto protezione internazionale, scopriamo che il dato di questi ultimi è maggiore.
Nel 2023 sono arrivati 173.645 profughi dall’Ucraina (Ministero Affari esteri e cooperazione internazionale) e 82.800 profughi da altre zone del mondo (dati Eurostat e Fondazione Migrantes).
Questo dato fotografa la situazione disastrosa, socio politica ed economica del mondo ma offre anche l’opportunità di riflettere, sulle ricadute socio politiche economiche dei paesi di arrivo, e su come si possa intervenire per prevenire un’immigrazione caotica.
Tante persone sono costrette a fuggire dalla propria casa per motivi di guerra e di diritti umani calpestati. Dunque, nella moltitudine di persone che arriva sulle coste europee si deve distinguere tra coloro che hanno diritto all’accoglienza (asilo politico e protezione internazionale, ecc.) e coloro senza tale diritto. Tra quelli senza diritto, attualmente, ci sono i migranti economici.
Intanto, le leggi internazionali (vedi il Trattato di Dublino del 1990) obbligano gli stati di “primo approdo” all’accoglienza per la durata della verifica dei requisiti di accesso allo status di profugo e questo fatto implica un periodo di soggiorno sul territorio. I migranti, in questo arco di tempo, non hanno la possibilità di lavorare. Rimangono in una condizione di accudimento, gravando sulle finanze pubbliche.
Questi migranti hanno bisogno di essere collocati e assistiti. Se gli stati europei collaborassero in maniera equa, il costo per ogni paese sarebbe impercettibile, insignificante. Tuttavia, le divisioni e il disinteresse costringono i paesi di frontiera come l’Italia e la Grecia ad agire quasi in solitudine.
Ma cosa potrebbe fare l’Italia per diminuire gli arrivi inaspettati sulle coste?
Partendo dal dato di fatto che l’Italia ha un calo demografico importante e necessità di mano d’opera lavorativa, iniziare col promuovere ingressi per lavoro più consistenti e organizzati in modo strutturale, potrebbe essere una soluzione. Evitare di continuare a creare flussi di ingresso saltuari e spontanei ma, analizzando il fabbisogno di manodopera, far coincidere la domanda con l’offerta.
Inoltre, gestire gli ingressi conviene anche per la sicurezza; vorrebbe dire conoscere l’identità della persona che entra, il paese di provenienza, l’eventuale qualifica e istruzione da utilizzare con profitto. In questo modo, la gestione dei migranti sarebbe più semplice e con costi più ridotti.
In Italia c’è bisogno di un’attività di inclusione degli immigrati più strutturata
Una volta in Italia, serve semplificare la modalità di ottenimento dei permessi di soggiorno, senza più iter lunghi e faticosi per il possesso e per il rinnovo. Non collegare il lavoro effettivo al permesso di soggiorno (come prevede la legge Bossi Fini – 2002) in quanto l’eventuale perdita del lavoro, come può capitare, porta alla clandestinità; un pericolo alto per i stagionali, per le collaboratrici domestiche e badanti (nel momento della morte dell’assistito, per esempio) ma anche per altre categorie di lavoratori.
Non assicurare diritti agli immigrati cosa comporta?
Riflettiamo sullo “status giuridico”; sarebbe giusto e proficuo attribuire più facilmente la cittadinanza in quanto, permetterebbe ai migranti di concentrarsi sullo studio, sul lavoro, sugli affetti, sui progetti di vita.
Avere o non avere uno status giuridico solido può causare implicazioni significative per un cittadino straniero che vive in Italia. Implicazioni di tipo economico come, l’impossibilità di avere un lavoro regolare e di essere sfruttato, di iscriversi ad una qualsiasi scuola, di accedere ai servizi; ma anche di tipo psicologico. L’irregolarità è una sicura fonte di stress e ansia per un cittadino straniero. La paura di essere scoperti ed espulsi può avere un impatto negativo sulla sua salute mentale. Invece, essere in possesso di documenti in regola offre maggiore sicurezza e stabilità.
Risolvere questi problemi vorrebbe dire agire in base ai principi di equità, di giustizia e di rispetto dei diritti umani; garantirebbe un trattamento giusto e dignitoso per tutti gli stranieri che vogliono vivere e lavorare in Italia.
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