M.Michela Nicolais
“Non dimentichiamo le guerre!”. È l’appello di Papa Francesco, al termine dell’udienza di ieri in Aula Paolo VI, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana: “Non dimentichiamo la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, i Rohingya e le tante tante guerre che sono dappertutto”, l’elenco stilato an Francesco: “Preghiamo per la pace. La guerra sempre è una sconfitta, sempre! Preghiamo per la pace, ci vuole la pace”.
C’è una “tristezza amica”, che “ci porta alla salvezza”, e c’è una tristezza che è “una malattia dell’anima”, “un abbattimento dell’animo, un’afflizione costante che impedisce all’uomo di provare gioia per la propria esistenza”,
ha spiegato il Papa a proposito del “vizio un po’ bruttino”, come lo ha definito a braccio, al centro della catechesi. “Vi è una tristezza che conviene alla vita cristiana e che con la grazia di Dio si muta in gioia: questa, ovviamente, non va respinta e fa parte del cammino di conversione”, ha puntualizzato: “Ma vi è anche una seconda figura di tristezza che si insinua nell’anima e che la prostra in uno stato di abbattimento: è questo secondo genere di tristezza che deve essere combattuto”. Come esempio di “tristezza amica, che ci porta alla salvezza”, Francesco ha citato il figlio prodigo della parabola: “quando tocca il fondo della sua degenerazione prova grande amarezza, e questa lo spinge a rientrare in sé stesso e a decidere di tornare a casa di suo padre. È una grazia gemere sui propri peccati, ricordarsi dello stato di grazia da cui siamo decaduti, piangere perché abbiamo perduto la purezza in cui Dio ci ha sognati”.
“Ma c’è una seconda tristezza, che invece è una malattia dell’anima”,
il monito del Papa: “Nasce nel cuore dell’uomo quando svanisce un desiderio o una speranza. Qui possiamo fare riferimento al racconto dei discepoli di Emmaus. Quei due discepoli se ne vanno da Gerusalemme con il cuore deluso, e allo sconosciuto che a un certo punto li affianca confidano: ‘Noi speravamo che fosse lui – cioè Gesù – a liberare Israele’”.
“La tristezza è il piacere del non piacere”, ha sintetizzato Francesco: “è come prendere una caramella amara, senza zucchero, brutta, e succhiare quella caramella”, ha aggiunto a braccio.
Per il Papa, “la dinamica della tristezza è legata all’esperienza della perdita”: “Nel cuore dell’uomo nascono speranze che vengono a volte deluse. Può essere il desiderio di possedere una cosa che invece non si riesce ad ottenere; ma anche qualcosa di importante, come una perdita affettiva. Quando questo capita, è come se il cuore dell’uomo cadesse in un precipizio, e i sentimenti che prova sono scoraggiamento, debolezza di spirito, depressione, angoscia”. “Tutti attraversiamo prove che generano in noi tristezza, perché la vita ci fa concepire sogni che poi vanno in frantumi”, il riferimento alla vita quotidiana: “In questa situazione, qualcuno, dopo un tempo di turbamento, si affida alla speranza; ma altri si crogiolano nella malinconia, permettendo che essa incancrenisca il cuore”.
“Certi lutti protratti, dove una persona continua ad allargare il vuoto di chi non c’è più, non sono propri della vita nello Spirito”, il monito: “Certe amarezze rancorose, per cui una persona ha sempre in mente una rivendicazione che le fa assumere le vesti della vittima, non producono in noi una vita sana, e tanto meno cristiana. C’è qualcosa nel passato di tutti che dev’essere guarito”.
“La tristezza, da emozione naturale può trasformarsi in uno stato d’animo malvagio”, il grido d’allarme del Papa: “è un demone subdolo, quello della tristezza, i padri del deserto lo descrivevano come
un verme del cuore, che erode e svuota chi l’ha ospitato”.
“Dobbiamo stare attenti a questa tristezza e pensare che Gesù ci porta la gioia della Resurrezione”, la conclusione ancora una volta fuori testo: “Ma cosa devo fare quando sono triste? Fermarti, vedere se è la tristezza buona o non buona, e reagire secondo la natura della tristezza. Non dimenticatevi che la tristezza può essere cosa molto brutta, che ci porta al pessimismo, a un egoismo che difficilmente guarisce”.