DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
C’è una evidente violazione di una norma che l’evangelista Marco ci presenta nel brano evangelico odierno. La norma è quella stabilita nel libro del Levitico, lo leggiamo nella prima lettura, norma che sancisce l’esclusione del lebbroso dalla comunità, il suo essere relegato, da solo, fuori dall’accampamento, dai centri abitati, con «vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore», costretto a gridare «Impuro! Impuro!» per evitare incontri con gli altri.
Un lebbroso viola questa norma perché entra in un villaggio, si avvicina a Gesù e chiede di essere purificato. Anche Gesù viola la norma sancita dal libro del Levitico perché, leggiamo, «ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato».
Compassione: il verbo che qui viene usato indica proprio la contrazione delle viscere, la rabbia che quasi ci prende quando vediamo qualcuno del quale intuiamo il dolore, la fatica, una compassione che ci fa muovere per alleviarla.
Il Regno di Dio non tiene conto delle barriere del puro e dell’impuro: le supera. Non esiste un uomo da accogliere e un uomo da allontanare, uomini con diritti e uomini senza diritti.
Tutti sono amati e chiamati da Dio e la nostra vita evangelica vuole essere il segno di questo amore divino che non fa differenze.
Spesso, invece, ci troviamo a distinguere tra puri e impuri, giusti e peccatori, forti e fragili, degni e indegni. In nome di un presunto Dio separatore, dividiamo l’umanità in due parti, una destinata a cadere sotto il giudizio della Chiesa, l’altra composta da chi ce l’ha fatta e, in quanto tale, destinata alla beatitudine eterna.
Ma Dio non è un giudice…non è vero che l’uomo deve purificarsi, deve diventare perfetto, deve tirarsi a lucido per avvicinarsi ed essere degno del Signore, è vero il contrario: accogliere il Signore, in quello che siamo e riconosciamo essere, questo purifica l’uomo.
Il lebbroso si avvicina a Gesù consapevole della sua condizione, icona degli uomini che desiderano vivere, tornare alla vita. E questo lo salva. Lo leggiamo nel salmo responsoriale: «Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato. Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non c’è inganno». E’ Dio che copre il nostro peccato con la sua misericordia e lo fa proprio perché l’uomo ha avuto il coraggio di scoprirlo, di andare, come il lebbroso del Vangelo, oltre la norma, oltre il divieto, oltre l’intolleranza e presentarsi davanti a Gesù nella sua nudità.
E Gesù interviene: avrebbe potuto pronunciare una parola, guarirlo all’istante, senza avvicinarsi a lui. Invece stende la mano, lo tocca. Secondo le norme di purità di quel tempo, così facendo anche Gesù contrae l’impurità, si contagia del peccato di quell’uomo. Ma è il nostro Dio, un Dio che si sporca le mani, che non sta alla finestra a guardare, che agisce d’istinto, di passione.
Il contagio avviene, ma al contrario: è Gesù che contagia l’uomo con il suo amore, è Lui, ora, che gli cambia la vita.
Scrive San Paolo alla comunità di Corinto: «Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio».
In ogni gesto che compiamo, allora, viviamo da guariti, da salvati, da toccati da questo amore di Dio che ci mette nuovamente in relazione con i nostri fratelli.