Giovanni M. Capetta
“Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino” (Sal 119, 105): è il verso inciso sulla lapide sotto cui riposano le spoglie del Cardinale Carlo Maria Martini, nella navata sinistra del Duomo di Milano, sotto l’altare del Crocifisso di San Carlo Borromeo. Arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002, da quando è salito al Padre, dieci anni dopo, all’età di 85 anni, questo luogo della cattedrale ambrosiana è ancora frequentato da tanti fedeli e pellegrini che desiderano rendergli omaggio, chiedergli intercessione, o anche solo pregare sul suo sepolcro, confidando in un’ispirazione nella pienezza della comunione dei Santi. Padre Martini è stato un autentico uomo di Dio e un pastore appassionato della vita della Chiesa e chi ha avuto il privilegio di ascoltarlo non solo dal pulpito, ma anche come semplice compagno di strada non può negare che la centralità dell’ascolto della Parola di Dio sia stata una delle sue ragioni di vita, prima come studioso ed esegeta stimato nel mondo, poi come vescovo che ha per anni richiamato la sua immensa diocesi al primato della Parola, cardine di ogni percorso formativo e presupposto per una maturazione integrale della fede. Si spiega così la scelta del bellissimo passo del salmo inciso nel marmo che protegge il suo corpo e nello stesso tempo indica il fervore della sua anima. Per migliaia di giovani, negli anni del suo magistero sulla cattedra di Ambrogio, divenne una consuetudine la sapiente pratica della Lectio Divina, che era proposta attraverso quella che – all’epoca in modo innovativo – veniva chiamata “Scuola della Parola”.
Il testo sacro viene accostato più volte, esercitandosi in ogni passaggio ad un’attitudine specifica: la lectio, (ovvero la lettura vera e propria), la meditatio, cioè la spiegazione del testo da parte di un esegeta o di un pastore esperto, infine l’oratio e la contemplatio (semplificando rispetto ad una suddivisione medievale più ampia) vale a dire uno spazio di silenzio per la preghiera personale in cui il credente fa risuonare la Parola nel suo cuore, discernendo cosa il Signore voglia dire alla sua coscienza, per poi avere una ricaduta pratica nella vita comunitaria (actio). Sareste lontani dal vero se pensaste che si tratti di una prassi troppo elaborata per essere sperimentata nell’ordinaria vita cristiana e quindi, nella quotidianità delle nostre famiglie. Se vi è una bellezza nel vivere la liturgia feriale, attingendola presso la propria comunità, altrettanto prezioso è fare in modo che il Vangelo proclamato dall’ambone durante l’Eucarestia domenicale, alimenti e fecondi tutti i giorni della settimana, venendo letto e pregato anche più volte in famiglia, riunendosi in casa per qualche momento appositamente dedicato. Il passo evangelico festivo, infatti, secondo una sapiente scelta, che spesso risale molto indietro nel tempo, è sempre un tesoro capace di rilasciare la sua ricchezza a lungo, a più riprese, confermando il potere della Parola di essere ogni volta nuova e anzi viva, come è vivo Gesù. Non è difficile credere che la Parola che ascoltiamo durante la Messa della Domenica, magari ciascun famigliare in un diverso ruolo e luogo all’interno dell’assemblea (chi nel coro, chi, giovane, insieme ai coetanei, chi magari fra i ministranti sull’altare), diventi nuovamente Pane spezzato che nutre nel cammino di ogni giorno, provoca un approfondimento, risuona nel confronto generazionale, risponde alle domande che sorgono quanto più si ha il coraggio di guardarsi negli occhi fra sposi e con i figli.
È così che la “notizia buona” passa di cuore e in cuore ed edifica (letteralmente) la casa. Molti potrebbero essere gli esempi di come le letture domenicali e, in specie, la pericope evangelica trovino la loro efficacia. Possono essere riproposti a tavola la domenica stessa, quando il ritmo della convivialità prevale sulla fretta dei giorni lavorativi; oppure un dopocena fra tanti, rinunciando a scivolare ciascuno, con un po’ di inerzia, nelle proprie comfort zone (che siano i social sullo smartphone, lo streaming o la vecchia tv, o qualunque altra attività individuale). Il Vangelo della Domenica può aprire le porte chiuse delle camere degli adolescenti che finito di sparecchiare si rifugiano nella loro “tana”; può sciogliere le tensioni di coniugi e genitori affannati da troppe incombenze e indotti a dirsi solo quel che c’è da fare, rinunciando a quella “manutenzione ordinaria” che lubrifica la qualità della relazione; il Vangelo aggiunge sapore alla ripetitività dei gesti, corrobora la pazienza, dà senso alla fatica, consola nel dolore. Sappiamo che i cristiani degli albori celebravano l’Eucarestia nelle loro case: forse è tempo di recuperare la salda consapevolezza che il Vangelo non può fermarsi ad una sola proclamazione e restare come imbrigliato fra gli amplificatori della nostra chiesa, ma – anche grazie alla sapienza pastorale di chi pronuncia l’omelia, connotandola in chiave prospettica – può illuminare tutta la settimana, dando allo scorrere dei giorni lo stesso fascino iridato che ha la luce pura quando ogni mattina siamo protagonisti del miracolo della vita che si ridesta.