X

San Benedetto del Tronto, lo Chef si racconta: Stefano Giangrossi del Boka

Lo Chef si Racconta

Stefano Giangrossi, di Ripatransone proviene da una famiglia tradizionale. Già in famiglia si respirava aria di cucina e ristorazione, in quanto la nonna, chiamata la CHEFFA DEL PAESE, era solita cucina re per grandi eventi. Anche lo zio, grande sommelier del piceno, si era innamorato degli abbinamenti a contrasto e per assonanza con i piatti tipici del territorio. Finita la scuola Stefano, ha la grande possibilità di formarsi in un noto ristorante gourmet di Baviera, dove oltre a perfezionare le tecniche di cucina inizia a muovere i primi passi nella cucina molecolare. Nel 2004 Stefano ha avuto l’occasione di espandere le sue conoscenze anche sul sushi, sulla cucina sous-vide, fusion e ai sapori orientali. Nel suo percorso ha avviato diversi ristoranti aumentando in lui non solo l’esperienza sul campo ma anche la gestione del food cost e del servizio di sala. Lo abbiamo intervistato ed oltre a confermarci il suo sogno nel cassetto, ci ha incuriosito la sua passione.

Come ti descrivi in 3 parole?
Eclettico, estroverso, pignolo.

Come nasce la tua passione per la cucina?
Nasce dall’infanzia. A tavola nelle domeniche a pranzo era solito ritrovarsi a pranzare tutti in famiglia, zii, cugini e parenti; eravamo di solito una quindicina/ventina di persone intorno ad un tavolo e aspettavamo con l’acquolina in bocca i piatti tradizionali che mia nonna insieme alle mie zie e mia madre preparavano per tutti. Quando avevamo finito il piatto era solito commentare sulla bontà e sulla squisitezza della portata e chi aveva preparato quel piatto veniva ricoperto di stima e complimenti. Ecco, la mia passione nasce qui; cucinare un buon piatto e vedere la soddisfazione e l’apprezzamento di chi ha potuto gustare una tua ricetta e l’emblema di generosità e amore che noi cuochi doniamo ogni giorno a chi ci viene a trovare.

Il primo sapore che ricordi?
Sicuramente il gusto dei cannelloni misti di spinaci e macinato di carne che preparava mia zia e allo stesso tempo il sapore dei cremini che all’epoca erano la mia maledizione, ne mangiavo a chili.

Cosa devono esprimere i tuoi piatti?
Mi piace pensare che ogni mio piatto possa esprimere svariati sensi; Prima di tutto deve essere piacevole alla vista e poi deve quasi sempre riportarti indietro nel tempo. Tutti noi abbiamo una MEMORIA DEL GUSTO. Quando si assaporano nuovi piatti e troviamo quel qualcosa che ci riporta alla nostra infanzia il risultato è decisamente molto più marcato e prepotente. Un semifreddo alla fragola e meringa che ricordi il sapore ed il colore delle Chewing gum BIG BABOL dove noi degli anni 80/90 ci divertivamo a fare palloncini con la bocca è qualcosa di semplice ma allo stesso tempo stupendo.

Qual è il piatto che più ti rappresenta?
Questa è una domanda molto difficile a cui rispondere, anzi direi impossibile. Non posso proclamare un piatto preferito che mi rappresenti, amo tutti i sapori, in vita mia non sono mai stato schizzinoso anzi, la mia folle curiosità che mi accompagna anche nel mio lavoro mi ha sempre spinto a provare e fare cose nuove quindi mi rappresento sia nella carne che nel pesce, sia nei risotti che nella pasta, sia sul dolce che sul salato…. Forse per rispondere in modo approssimativo direi che il piatto che più mi rappresenta è legato al locale in cui lavoro in quel momento; Ora che lavoro in un ristorante di carne magari dico che una tartare mi rappresenta.

Quale ingrediente non manca mai nella tua cucina?
Risposta banale, la simpatia. Se parliamo di un ingrediente concreto allora posso citarne 3: salsa di soia, burro, cardamomo.

Quali sono i tre piatti che nella vita non si possono assolutamente fare a meno di provare?
Animelle fritte, Ramen, Trippa.

Quanto è importante il territorio e gli ingredienti che selezioni per i tuoi piatti?
Assolutamente fondamentale. Piccola premessa, anni fa dopo svariate esperienze di livello mi sono concesso una specie di pausa di riflessione e sono stato per quasi un anno in un agriturismo della zona. Lì, tutta la verdura era autoprodotta ed anche alcuni frutti e carne. Sai, la dolcezza di un semplice finocchio, oppure di un pomodoro o anche dei piselli era qualcosa che non potevi dare per scontato perchè quando lavori per la grande ristorazione non tutti i prodotti sono eccellenti. Mi spiego meglio; Il sapore di quelle primizie nell’agriturismo era assolutamente eccezionale, non paragonabile ai prodotti della grande distribuzione. Lavorare con prodotti del territorio include che tu abbia prodotti della massima freschezza e che siano stati manipolati il meno possibile. Ciò si traduce nel sapore dello stesso. Un prodotto coltivato, allevato a Km 0 avrà quella marcia in più di un prodotto che ha percorso svariati chilometri. Per fortuna c’è da dire che le tecniche di produzione e conservazione oggi sono molto più efficaci di una volta e quindi grazie a grandi aziende che lavorano con un ottimo know-how si possono trovare ingredienti ottimi anche al di fuori del proprio territorio. Inoltre è cosa buona e fondamentale cucinare con prodotti di stagione; questo fa si di poter avere sottomano ingredienti sempre freschi e di ottimo sapore. Rispettare la stagionalità dei prodotti e un pò anche rispettare l’ambiente.

Parlando di lavoro di squadra, quanto conta la sintonia tra lo chef e la brigata di cucina e di sala?
Questo aspetto diciamo fino ai 23/24 anni non l’ho mai calcolato. Il mio bisogno primario era creare un ottimo piatto dalla mia testa alle mie mani e dimostrare di essere un bravo cuoco ma con il tempo e agendo più sulla fase organizzativa di un locale posso dirti che la sintonia deve essere MASSIMA. Puoi fare il tuo miglior piatto, ma se non hai una brigata che ti aiuti a realizzarne 100 in pochi minuti e non hai un personale di sala qualificato che porti quel piatto ed esprima la concezione e la passione di esso allora è tutto lavoro vanificato al solo ego. E poi sappiamo quanto sia sacrificato il nostro mestiere, il locale dove si lavora diventa per forza di cose la nostra seconda casa e in una casa per convivere bene c’è bisogno di sintonia. Un locale di successo si regge perchè oltre ad avere una buona cucina c’è un ottimo servizio e arredamento/spazi; tutto il personale deve andare in simbiosi l’uno con l’altro. Non esiste un bravo chef se non sia supportato dal suo entourage di cucina/sala.

La comunicazione ed i social quanto sono importanti per il tuo lavoro?
La comunicazione è un aspetto di vitale importanza. Tempo permettendo approfitto sempre di qualche evento riguardante la cucina e la ristorazione, avere modo di confrontarmi con i colleghi e scoprire cose nuove, nel nostro lavoro non si finisce mai di imparare. Per quanto riguarda i social sono un ottimo supporto al lavoro, ma direi non fondamentale; Di certo i social oggigiorno sono strumenti potenti di pubblicità ed immagine di un locale o di uno chef ma attenzione a non abusarne oltre. Quando sei a capo di una cucina sei tu che dirigi il lavoro, pertanto non hai nessuno sopra di te che ti insegni. Avere dei social in questo caso per me è un toccasana perchè posso vedere cosa fanno i grandi chef e trarre spunto per il mio lavoro. Occhio, molte volte in tv, nei blog e nei social non si vede realmente il vero lavoro di una cucina ma solo apparenza.

Cosa consiglieresti ad uno chef che vuole intraprendere la tua strada?
Il sacrificio. Il nostro è un mestiere duro, fatto di continua esperienza e ricerca, non ci si può abbattere al primo fallimento. Poche persone nascono con il vero talento di intraprendere questa strada, gli altri come nel mio caso lo acquisiscono con il passare degli anni, passando per esperienze lavorative belle e brutte. Guardare alla cucina con un approccio basilare, imparando tutte le tecniche di base, anche quelle più in disuso perchè un domani potranno sempre essere utili. Col passare del tempo e dell’esperienza acquisita poi ci si può specializzare in un settore e trovare la giusta strada da percorrere.

Quando vai a mangiare negli altri ristoranti quali sono le cose che noti di più?
Oltre logicamente alla bontà delle portate che ordino guardo in modo maniacale l’organizzazione e la pulizia del locale; sono sicuramente i due aspetti principali che si notano al varcare la soglia delle porte di un locale, sono il biglietto da visita. Ovviamente tutto è in relazione al tipo di locale; se dovessi andare a mangiare in un ristornate in aperta campagna e trovare un tovagliato troppo chic storcerei il naso, come in un locale al centro di una grande città con tovagliato stile anni 80. Il posto vuole la sua parte. Poi il menù deve essere in sintonia con l’ubicazione socio-culturale del locale, inoltre se ci fossero troppi piatti nel menù sarei scettico e mi domando se tutti siano buoni, ma mai direi mai.

Quali sono le figure da cui hai tratto ispirazione durante il percorso professionale?
Sicuramente tutti gli chef con cui ho avuto modo e l’onore di lavorare, ognuno mi ha donato passione e dedizione, chi in un modo un pò burbero e prepotente e chi in modo più paterno e amorevole; tutti mi hanno insegnato qualcosa. Non mancano sicuramente quei titolari di carriera e successo che mi hanno trasmesso degli stimoli al di fuori del semplice realizzare un piatto. E poi grandi Chef della mia adolescenza come Marchesi, Sadler, Vissani, un giovanissimo Alajmo, Ducasse.

Per chi ti piacerebbe cucinare una cena speciale?
Per tutti quelli che amo ma in sostanza per tutti quelli che apprezzano la buona cucina. Il mio idolo d’infanzia era il compianto Marco Pantani; ecco, mi sarebbe piaciuto cucinare per lui una cena speciale e sarei stato consapevole di una grande sfida: i romagnoli come lui hanno un’ottima cultura culinaria e sono molto legati alle loro tradizioni. Sai, girando e lavorando per quasi tutta l’Italia ti posso dire scherzosamente che tutte le regioni visitate guardano storto le altre. Siamo un popolo molto orgoglioso del nostro territorio e non ci mettiamo sempre in discussione. Vedere negli anni rivalità anche a livello locale per una semplice portata è comunque modo di stimoli. Pensa se dovessi scegliere la migliore oliva ascolana del territorio, cosa ne verrebbe fuori.

Chiudo immaginando di regalarti del tempo… come lo sfrutteresti?
Lo dedicherei a svolgere gli hobby che adoro o passarlo con le persone che amo. Purtroppo il nostro lavoro non ti permette di avere molto tempo libero; coltivare altre passioni però è fondamentale per non chiudersi in un guscio e non trovare più ispirazioni. Nella vita credo che in tutte le cose bisogni trovare il miglior compromesso. Per me ora il miglior compromesso è fare il mio lavoro dignitosamente e ritagliarmi del tempo per altre passioni, inclusa ovviamente anche la famiglia. Non si vive di solo lavoro.

Stefano Nico: