Marco Calvarese
Prosegue la serie di vicende che animano da tempo lo stabilimento dell’ex Ilva di Taranto, ultima solo in ordine cronologico è la nomina da parte del ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, di Giancarlo Quaranta come commissario straordinario per amministrare Acciaierie di Italia Spa. Un nuovo intervento che se per alcuni è visto come segno di speranza, per altri sembra invece una sorta di accanimento terapeutico giustificato solo dal bisogno di evitare responsabilità. “Non c’è nessun cambiamento dal punto di vista economico. Non c’è nessun afflusso di risorse. Si registra quello che noi avevamo previsto, cioè una sorta di paralisi dell’azienda che, in teoria, dovrebbe essere risanata attraverso il commissario per essere poi affidata a privati, quindi un periodo transitorio. Però risanata non si capisce con che cosa, perchéha un debito di 3 miliardi e 100 milioni, non ha prospettive di mercato, ha 8000 lavoratori impiegati su soli 2 altoforni funzionanti dei 5 che una volta erano quelli dell’Ilva, ed ultimamente lavorano solamente su un solo altoforno. Hanno una situazione dal punto di vista produttivo che è estremamente problematica, per cui per quanto il nuovo commissario abbia delle competenze nel campo siderurgico, non riuscirà a rianimare un’acciaieria che è in coma profondo,tenuta in vita solamente attraverso l’aiuto dello Stato ma dal punto di vista del mercato sono assolutamente ai margini”. Queste le parole di Alessandro Marescotti, tarantino e presidente di PeaceLink, associazione di volontariato che si occupa di diversi temi tra i quali anche di difesa dell’ambiente e della legalità che, come da loro ribadito in più riprese, interessa la vicenda dello stabilimento siderurgico pugliese, soprattutto dopo quanto deciso dalla magistratura che ne ha stabilito la chiusura, non per un sentimento antindustriale ma per l’impatto negativo che lo stesso ha sulla salute. “Ci sono delle perizie che lo hanno dimostrato in passato e ci sono tutte le valutazioni di danno sanitario, tutte non una esclusa, che hanno un valore predittivo e che sono lì ad attestare che anche per il futuro, l’impatto sulla salute non risulta accettabile. Quando parliamo di impatto accettabile parliamo di una soglia che è definita in un decesso in più ogni 10mila abitanti per un arco di vita 70 anni. Quando si supera questo valore l’epidemiologia dice che l’impatto sanitario non è più accettabile”. Ormai da anni l’associazione PeaceLink si è fatta portavoce delle questioni ambientali legate all’ex Ilva di Taranto, pubblicando tutti i documenti sul loro sito e presentando anche un piano di riconversione nel 2014, arricchito nel tempo grazie al contributo di altre associazioni, che però non ha mai trovato i fondi europei per la realizzazione, aprendo ad un ragionamento più ampio.
“Ci dicono da sempre che i soldi per la transizione ecologica non ci sono. Invece no, i soldi ci sono e sono tanti, vengono spesi male, per una prospettiva di riarmo e di scontro tra blocchi geopolitici”,
è il commento di Marescotti che cita il pensiero di Papa Francesco in merito alla questione, ribadendo l’ingiusto trattamento che si sta applicando alla vicenda dell’acciaieria tarantina alla quale, a differenza di una qualsiasi altra attività economica, è stato permesso di restare aperta ed in produzione, seppur senza i requisiti indispensabili. “Stanno privilegiando un’attività economica che in tutti questi anni ha, diciamo, bypassato quelle che sono le norme che valgono per tutti, in violazione all’articolo 3 della Costituzione”, le parole del presidente di PeaceLink che non accetta l’accusa di essere anti industriale solo perché chiede giustizia ed equità di trattamento, mai sanata in tutti questi anni trascorsi “la cosa grave è che negli ultimi anni, invece di diminuire l’inquinamento da benzene cancerogeno è aumentato. È tutto documentato con i dati”. Una situazione che, tornando indietro nel tempo, sembrerebbe essere già stata scritta a partire dalla realizzazione a 200 metri dal centro urbano, pur essendo il più grande stabilimento siderurgico in Europa, cresciuto ancor di più nel tempo con il carico produttivo portato a Taranto da Genova. “La decarbonizzazione comporta un taglio del 70% della forza lavoro”, le parole di Marescotti che giustificherebbero lo stagnare nelle decisioni relative alla riconversione dell’impianto dell’ex Ilva,“tutto quanto fatto a Taranto fino ad ora è stato fatto puntando su una monocultura, seppur qualunque saggia scelta dovrebbe portare ad una diversificazione. Io credo che l’Ilva non riuscirà a sostenere l’impatto con i mercato”.
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