DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
Questa domenica la Parola, nella prima lettura tratta dal libro della Genesi, ci fa avvicinare la figura di Abramo.
Abramo sta salendo sul monte dopo aver ascoltato le parole del Signore: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».
Salgono sul monte anche Pietro, Giacomo e Giovanni, lo leggiamo nel Vangelo, anch’essi scortati dalla Parola di Dio, stavolta una Parola fatta carne, Gesù Cristo.
E’ un cammino forse più sereno rispetto a quello di Abramo, ma non meno denso di interrogativi. Pochi giorni prima, infatti, Gesù aveva freddato la loro frenesia, la loro soddisfazione e l’insuperbimento generati dai tanti miracoli compiuti dal Signore e dall’enormità di gente al suo e loro seguito. E poi aveva duramente rimproverato Pietro che si era ribellato all’idea che Gesù, il Messia, sarebbe stato ripudiato, ucciso, risuscitato dopo tre giorni.
C’è l’iniziativa di Gesù, da un lato, e, magari con tante domande dentro, il lasciarsi condurre dei discepoli dall’altro. C’è l’iniziativa di Dio da un lato e, sicuramente con tante domande dentro, Abramo che si lascia condurre dallo stesso Dio dall’altro.
Sarà un vincente o un perdente questo Dio? Perdiamo o salviamo la vita a seguirlo? E’ un Dio di vita il nostro Dio o un Dio che ci chiede di affrontare prove, sofferenza, addirittura la morte?
Tutte domande che, certamente, anche noi sentiamo spesso salire al cuore. Ed è come se avessimo bisogno di una conferma.
Forse sta qui il significato della Trasfigurazione, dell’esperienza che Gesù fa vivere ai suoi discepoli sul monte Tabor, una Trasfigurazione che viene a dirci che non è la passione l’esito della storia ma la resurrezione; che non è la morte l’esito della storia ma la vita.
E per dircelo, per confermarcelo, il Signore ci fa salire con Lui sul monte.
Sul monte Tabor, dove, ci dice l’evangelista Marco, le vesti di Gesù «divennero splendenti, bianchissime…», un’immagine con la quale Gesù vuole darci un’anticipazione della sua resurrezione, della vita oltre la morte.
Sul monte nel territorio di Moria, dove ad Abramo prospetta non un futuro di morte ma un futuro di benedizione, una discendenza numerosa, la vita eterna.
Sì, c’è da salire su un monte. Cammino duro, faticoso, in salita, a tratti senza prospettiva, stradine accidentate, pareti che non ci permettono di allargare lo sguardo all’orizzonte ma sul monte, sulla cima del monte la prospettiva e la visuale su tutte le cose, fino all’orizzonte, sono sicuramente diverse, più ampie, più libere rispetto al basso.
E poi, riempiti da questo nuovo vedere, c’è da scendere nuovamente a valle, come Abramo, come Pietro, Giacomo e Giovanni, sempre, come loro, accompagnati da una Parola, per immergerci nuovamente nella vita di ogni giorno con la stessa certezza di San Paolo: «…se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a Lui?».