SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Capita spesso di affrontare il discorso sull’immigrazione e l’argomento non sempre mette d’accordo l’opinione di tutti, anche perché non lo si osserva da tutti i punti di vista. C’è chi vuole accogliere mentre altri no e, proprio per rinfrescare la memoria “collettiva”, vorrei proporre una storia di emigrazione.
Tanti italiani, nel periodo post-bellico, sono emigrati verso l’America Latina e non solo. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale l’Italia si è trovata in grave crisi economica e molti abitanti, anche delle Marche, si sono spinti verso orizzonti che potessero offrire loro migliori opportunità di vita. Uno di questi era Umberto Pignati, pescatore di San Benedetto del Tronto, ventunenne, che un giorno sale su una nave con destinazione Argentina.
In Argentina Umberto continua a lavorare come pescatore, solcando l’Oceano Atlantico. Lavora ininterrottamente perché capisce che questa è la sua occasione e non la vuole sprecare.
La fatica delle notti in un Oceano smisurato e distante dalla sua terra nativa gli viene riconosciuta e remunerata così, comincia a pensare di mettere su famiglia. Amante del tango, Umberto, inizia a frequentare una sala da ballo nella località dove vive, Mar del Plata, e lì conosce Giuseppina, italiana anche lei, emigrata insieme all’intera famiglia da Pennabilli, provincia di Pesaro Urbino. Giuseppina è bella ed è una ballerina di liscio, ballo che porta nel cuore dalla propria terra. Alla sua vista Umberto non può non essere ammaliato. I giovani si piacciono e dopo non molto tempo si sposano. Inizia un periodo bello, di grandi soddisfazioni anche se i sacrifici sono tanti. Arrivano nella nuova famiglia, prima una femmina e poi un maschio, che chiamano, in riconoscenza alla terra ospitante, Carlos. Ma non tutti abbiamo la stessa capacità di adattamento una volta arrivati in terre straniere cosicché, nel tempo, in Umberto nasce il desiderio di tornare a casa a San Benedetto del Tronto.
L’opportunità arriva nel 1969, quando Umberto e Giuseppina, vendono la casa di proprietà a Mar del Plata e prendono la via di ritorno verso l’Italia, dove trascorrono l’altra metà della loro vita.
Attualmente Umberto e Giuseppina sono deceduti. La testimonianza della loro storia ci viene presentata da Carlos, il secondogenito della coppia.
Fino a che età siete vissuti in Argentina voi figli?
Io avevo dieci anni mentre mia sorella quindici.
Come era la vita in Argentina? Era difficile il rapporto con gli altri abitanti?
No, per niente. A Mar del Plata c’erano tanti italiani e nel nostro quartiere si parlava addirittura il dialetto abruzzese e marchigiano, dunque ci sentivamo un po’ come nel paese di origine.
In più, noi ci comportavamo bene ed eravamo stimati ed apprezzati. Per quello che riguarda l’attività della pesca, in Argentina abbiamo dato un importante apporto. I pescatori italiani, e dunque anche sambenedettesi, hanno insegnato ai locali il mestiere. Mio padre è stato uno di questi, ha lavorato nella pesca e come bagnino.
E, nonostante un clima piacevole, il “mal di patria” è stato più forte. Siete tornati in Italia.
Sono passati tanti anni; ricordi il viaggio?
Si, come fosse ieri. Ci siamo imbarcati su una nave di millecinquecento-duemila passeggeri, che partiva da Buenos Aires, perché la nave costava di meno rispetto all’aereo, e abbiamo navigato per 18 giorni, facendo tappa a Rio de Janeiro, Lisbona fino a Napoli e poi fino a Genova.
Avete sofferto il distacco dalla vostra vita e dagli affetti, al momento del trasferimento in Italia?
Io, in quanto più piccolo un po’ di meno, ma mia sorella quindicenne si, molto. Lei ha dovuto lasciare amici e fidanzatino. Si è sentita straniera nel paese natale dei genitori. Una volta in Italia si è rifiutata persino di iscriversi a scuola.
Tu invece hai frequentato la scuola? Cosa ti ricordi dell’accoglienza che ti è stata riservata?
Mi sono trovato bene in generale. Mi ricordo solo un aneddoto: la maestra ci faceva il dettato di italiano e poi noi alunni dovevamo correggere il compito l’uno all’altro. Il mio aveva un sacco di errori e dunque lo volevano “per fare i professori” e io mi sentivo in imbarazzo. Tuttavia, mi sono ambientato bene. Sono andato avanti con gli studi fino a diplomarmi come perito chimico.
Cosa avete fatto a San Benedetto del Tronto una volta arrivati dall’Argentina?
Intanto bisogna dire che siamo stati ispirati a partire dall’Argentina nel momento giusto. Dal 1969 a breve, in Argentina, sarebbe iniziata una crisi economica con una forte inflazione. Alla nostra partenza siamo riusciti a vendere bene la nostra casa il che, ci ha consentito di costruircene una nuova a San Benedetto del Tronto.
Una volta arrivati a San Benedetto i genitori hanno provveduto a prendere una casa nel quartiere San Filippo Neri, allora zona periferica con terreni incolti, ma popolata dai pescatori man mano che i proventi aumentavano fino a farla diventare un secondo centro della città. Appena assestati a San Benedetto mio padre si è imbarcato nella flotta di Mascaretti, prendendo nuovamente il mare per sette, otto mesi all’anno.
Guardando indietro, cosa ci puoi dire? Sei soddisfatto delle decisioni dei tuoi genitori? Saresti rimasto in Argentina se avessi potuto scegliere?
Del piano migratorio dei miei genitori io e mia sorella siamo stati spettatori passivi. Essendo giovani non abbiamo potuto scegliere per noi. All’età di dieci anni io comunque, ero contento di seguire i genitori dovunque, non altrettanto mia sorella. Lei ha dovuto rinunciare ad una parte della sua adolescenza.
Ma, ritornando ai miei genitori, mi sento di ringraziarli per il coraggio di rifarsi una vita in una terra straniera. Il loro progetto migratorio, di qui sono stato parte, mi ha formato come uomo libero dai pregiudizi e capace di adattarsi a molteplici situazioni di vita. Ho imparato il rispetto per tutte le genti al punto che oggi ho una compagna di origine rumena. Insomma, riesco a vivere circondato da chi mi piace, senza guardare la nazionalità, il colore o il credo. Per me, vale il comportamento di una persona; nient’altro.
La storia di Carlos ci offre tanti punti di riflessione. Innanzitutto, ci ricorda che l’Italia in passato è stata una terra di emigrazione. Tante persone si sono salvate dalla miseria andando a cercare un posto più opportuno. L’Italia dunque ha un debito morale nell’accogliere chi arriva oggi, con altrettante speranze di una vita migliore. Un altro argomento di riflessione è l’opportunità che ci offre l’atto dell’emigrare. Spostarsi altrove nei momenti duri ci permette di sopravvivere.
Da sempre l’umanità si è spostata dove la vita è migliore. L’immigrazione è un bene che dobbiamo proteggere. Facciamolo!