M. Chiara Biagioni
“Una messa in scena, senza un partito di opposizione, dall’esito scontato. Nessun cambiamento, partiti di regime”. Così Serena Giusti, docente di relazioni internazionali presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ricercatrice Ispi, commenta le elezioni per la Camera bassa del parlamento che si sono svolte domenica 25 febbraio in Bielorussia. Un voto – denunciava giorni fa l’ong per i diritti umani “Viasna” – che si è svolto in totale assenza di una campagna politica vera e propria, nella “completa epurazione” dallo spazio pubblico delle organizzazioni della società civile, e con la conservazione di soli 4 partiti filogovernativi. In un comunicato diffuso alla vigilia del voto, anche l’Ufficio Osce per le istituzioni democratiche e i diritti umani (Odihr) esprimeva profondo rammarico per la decisione delle autorità bielorusse di non invitare alle elezioni osservatori esterni, “privando i cittadini e le istituzioni del Paese di una valutazione imparziale, trasparente e completa da parte di un organismo internazionale”. L’Osce assicurava pertanto l’impegno a “seguire da vicino gli eventi in Bielorussia e le loro conseguenze per la democrazia e i diritti umani”.
Professoressa, la Tass riporta che l’affluenza alle urne è stata addirittura del 73,09%. È reale? E come leggere questo dato?
L’opposizione in esilio aveva invitato a non andare a votare, proprio come forma di protesta. Però anche non andare a votare è comunque una scelta molto difficile per chi vive lì. In Bielorussia, c’è una economia fortemente statalizzata per cui la leadership ha ogni strumento di ricatto sulla popolazione a partire dalla possibilità di togliere il lavoro alle persone con forme di licenziamento. Questo spiega perché qualsiasi forma di opposizione che sia anche quella di non andare a votare, può essere difficilmente praticabile. C’è un forte controllo da parte dello Stato, senza considerare che spesso anche in passato, prima delle elezioni venivano riconosciuti sussidi ai pensionati o approvati incrementi delle pensioni proprio per ottenere il consenso. Quindi, è tutto molto falsato.
Possibile che i giovani accettino questa situazione? Che fine hanno fatto quelle proteste che abbiamo raccontato nel 2020?
C’è da dire che i membri dell’opposizione che erano stati i più determinati in quelle manifestazioni, o sono in prigione o sono espatriati e quindi vivono fuori dal paese.
Riescono ad avere un’influenza sugli attori esterni e quindi sui paesi europei e sugli Stati Uniti però hanno meno influenza all’interno del Paese, dove peraltro anche i social media sono controllati. Non ci dimentichiamo poi che la Russia è vicina. E quanto è accaduto in Ucraina nel 2022, pesa. La Russia in Ucraina ha mostrato che può intervenire. È evidente che, in maniera latente, c’è un movimento soprattutto tra i giovani potenzialmente di opposizione. Il suo emergere oggi è molto difficile, e per due ragioni: per le forme di repressione interna e per il fatto che i loro leader sono all’estero.
Anche la morte di Aleksej Nalvalny ha lanciato un messaggio molto forte.
Non c’è solo il caso Navalny. È da poco morto in carcere un altro dissidente bielorusso. E questo dimostra che ci vuole davvero molto, molto coraggio.
La Bielorussia è il più grande alleato della Russia, anche a livello tattico e militare?
Come dicevo prima, l’economia della Bielorussia dipende dalla Russia, e la permanenza al potere di Lukashenko dipende dal sostegno di Vladimir Putin, anche se nelle relazioni tra i due paesi ci sono stati momenti di tensione. I due sicuramente dal punto di vista personale non si amano più di tanto. Detto questo, bisogna ricordare, per esempio, che nel 2014 Lukashenko non riconobbe l’annessione della Crimea da parte della Russia. L’ha riconosciuta sotto pressione di Putin solo nel 2020. Da parte sua, la Russia, in seguito, ha riconosciuto un finanziamento sostanzioso alla Bielorussia per far fronte alle contestazioni interne. Per ora la Bielorussia è riuscita a non essere parte del conflitto in Ucraina. Almeno per quello che ci è consentito sapere, non ci sono militari bielorussi impiegati sul fronte, però dal punto di vista logistico sono stazionati al confine mezzi russi e in un certo periodo anche la Wagner era stazionata in Bielorussia.
Una opposizione latente c’è ma perché si manifesti, è veramente molto rischioso e in questo momento evidentemente manca la forza per farlo.
Quanto il destino di Lukashenko è legato al destino di Putin?
Diciamo che in questo momento l’unico modo per poter pensare ad un cambio di regime, dipende dalla decisione di Vladimir Putin di sostenere o meno Lukashenko. Senza il sostegno della Russia, Lukashenko si troverebbe nella condizione di non poter più garantire un certo standard di vita ai propri cittadini. Non dimentichiamo, per esempio, che l’energia arriva dalla Russia a bassissimo prezzo. Insomma, verrebbe meno quella legittimità che magari in alcuni strati della popolazione, soprattutto più anziani, il governo ancora gode. Tra l’altro, la Bielorussia non ha mai avuto quella transizione che hanno vissuto i paesi di tutto l’Est Europa nei primi anni ’90, anche con costi sociali ed economici disastrosi. In alcuni strati della popolazione bielorussa ci potrebbe anche essere una certa reticenza al cambiamento perché finora, un certo livello di vita è stato garantito mentre guardando ai paesi limitrofi, la gente vede che ogni cambiamento spesso porta dei costi altissimi anche in termini di stabilità. Insomma, questa dipendenza economica, che poi significa stabilità di regime, impedisce che ci possa essere un ricambio e fa sì che Lukashenko possa rimanere.
Che tipo di evoluzioni future si intravedono oggi in questa area dell’Europa?
Sicuramente, c’è una netta cesura tra quei paesi che sono entrati nell’Unione europea o che comunque hanno relazioni molto strette con l’Unione europea, e quei paesi dove la Russia continua avere influenza e il cui futuro dipende dalla Russia. Pensiamo a quanto sta succedendo proprio in questi giorni nell’area della Moldova dove si parla di un possibile referendum in Transnistria. Noi come Europa possiamo sostenerli ma non possiamo certo andare a influire nei processi interni dei paesi.
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