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San Benedetto, intervista a Simona Montauti, Stefano Cristofori e Chiara Grilli “Rapporti sempre meno in presenza e più virtuali, ma non possiamo chiamarle relazioni”

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – È già al secondo anno il “Progetto benessere emotivo e relazionale nelle Scuole” che l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di San Benedetto del Tronto porta avanti negli Istituti di Istruzione Secondaria di Primo e Secondo Grado del Comune.
Per saperne di più abbiamo intervistato il dott. Andrea Sanguigni, assessore alle Politiche Sociali, e i professionisti che incontrano gli studenti nelle Scuole: la dott.ssa Simona Montauti, responsabile dell’Area Minori e Adolescenti dello stesso Assessorato, il dott. Stefano Cristofori, psicologo e psicoterapeuta, e la dott.ssa Chiara Grilli, psicologa.

In cosa consiste il progetto e come è articolato?
Il progetto è nato lo scorso anno scolastico, quindi 2022/2023, ed è stato realizzato in via sperimentale in una Scuola Media del Comune di San Benedetto con l’intento di dare un supporto di benessere emotivo e relazionale agli alunni. I risultati del progetto sono stati talmente eclatanti e i riscontri talmente positivi, che l’assessore Sanguigni ha pensato di proporlo a tutti gli alunni delle Scuole Medie e a tutti gli studenti del biennio delle Scuole Superiori. Tra queste ultime hanno aderito il Liceo Classico Leopardi, il Liceo Scientifico Rosetti e l’Istituto Guastaferro. In alcuni casi, in cui ci sono richieste particolari o esigenze specifiche, stiamo operando anche con gli studenti del Triennio.
Il progetto è articolato in più momenti. Prima ci sono degli interventi di educazione socio-affettiva nelle classi, durante i quali trattiamo temi diversi: non ci sono argomenti programmati o prestabiliti, bensì affrontiamo tematiche a seconda delle necessità della classe, a seconda di quello che viene fuori durante l’incontro. Poi forniamo agli studenti anche la possibilità di effettuare un colloquio individuale con uno di noi professionisti, che però non è a scopo terapeutico, bensì consiste solo in uno sportello di aiuto, in cui noi ascoltiamo con attenzione le problematiche che raccontano e diamo consigli per cercare di superarli. Il progetto prevede infine anche degli incontri formativi di gruppo, destinati ai docenti e ai genitori. Ogni giorno incontriamo almeno 50 studenti. Sono gli Istituti che ci suggeriscono in quali classi sia opportuno intervenire.

Quali sono i disagi che riscontrate maggiormente?
Prima di tutto abbiamo riscontrato tra i ragazzi una certa difficoltà a gestire e verbalizzare le emozioni. Non c’è un’abitudine diffusa a parlare di sentimenti e di emozioni. Molti dei ragazzi che incontriamo non parlano facilmente di quello che provano, di quello che sentono. Quando è proprio necessario, per trasmettere il loro stato d’animo, usano messaggi scritti, magari con l’aggiunta di emoticon.
In secondo luogo abbiamo riscontrato anche numerose difficoltà nella gestione dell’ansia, un problema che va oltre i confini delle Scuole o degli Istituti e purtroppo investe anche altri ambiti della vita personale degli studenti. Esiste, ad esempio, un’ansia da prestazione rispetto al genitore che tiene molto al voto del proprio figlio. Questo sposta l’attenzione da quello che dovrebbe essere il giusto scopo del frequentare una Scuola, ovvero imparare nozioni nuove e crearsi quella cassetta degli attrezzi che poi saranno utili nella vita. Spesso invece la Scuola si riduce alla necessità di prendere un voto e la sua reale importanza viene messa in secondo piano.
Esiste poi il grande problema di come vengano vissuti oggi i rapporti umani. Le relazioni si fanno sempre meno in presenza e sempre più virtualmente. Le eccessive attività sportive e musicali, soprattutto alle Scuole Medie, o gli eccessivi compiti, alle Scuole Superiori, non lasciano ai ragazzi uno spazio per rilassarsi senza fare nulla o per coltivare le amicizie in presenza. Quando chiediamo cosa fanno nel pomeriggio, a volte ci dicono che hanno incontrato un amico su piattaforme digitali per fare insieme dei giochi o tramite videochiamate su WhatsApp, ma quello non è incontrarsi. L’incontro in presenza ha modalità e gestualità che l’incontro virtuale non ha. Nell’incontro virtuale, infatti, non c’è relazione. La relazione implica una fisicità e una prossemica che l’incontro virtuale non consente: pensiamo al guardarsi negli occhi, al comunicare anche con gli sguardi, i gesti, le espressioni del viso, gli abbracci. Il “Vieni a casa mia a fare i compiti insieme, poi giochiamo” non esiste più. Purtroppo. I ragazzi non hanno tempo per dedicarsi a loro stessi.
Riscontriamo infine un quarto tema che investe tutte le tematiche precedenti, che è l’uso eccessivo dei dispositivi elettronici e dei social, i quali, anziché essere utilizzati come strumenti per migliorare la qualità della vita, spesso diventano causa di numerosi problemi. Oltre infatti ad alimentare le difficoltà finora menzionate, ne genera anche altre, come ad esempio la mancanza di concentrazione o il bullismo. Per quanto riguarda la prima, dobbiamo dire che la concentrazione va supportata ed allenata; l’utilizzo eccessivo dei dispositivi elettronici invece non agevola questo processo. Per quanto concerne invece il bullismo, oggi non c’è più solo il bullismo a cui eravamo abituati fino a pochi anni fa, ovvero quello del tipo corpulento che colpisce fisicamente il più debole. Esiste purtroppo anche un tipo di bullismo fatto di parole che feriscono e che viaggiano soprattutto via social, in particolare nei gruppi WhatsApp, dove spesso si utilizza un linguaggio pesante ed offensivo anche rivolto alle donne. Si tratta di un fenomeno talmente diffuso, che abbiamo portato la questione anche al tavolo delle Pari Opportunità. Purtroppo è diventato talmente normale l’utilizzo di lessico e gestualità tipicamente maschili e maschiliste, che non solo le ragazze non si offendono, ma addirittura spesso ne fanno anche loro un uso improprio verso loro stesse e verso i compagni maschi. Ormai alcuni termini sono stati sdoganati e, quando lo facciamo notare, ci viene risposto che si sta scherzando. Lo scherzo, però, se è un’offesa, lo stabilisce chi lo riceve e non chi lo dice.

Come possono i genitori aiutare i propri figli adolescenti a migliorare la loro capacità a verbalizzare le emozioni e a far diminuire l’ansia che li attanaglia?
Per quanto riguarda la prima difficoltà, ci sentiamo di dire che non c’è una sola azione estemporanea che possa risolvere il problema, bensì si tratta di un percorso che andrebbe iniziato quando i figli sono ancora piccoli. Consigliamo di sedersi a parlare con i bambini fin dalla tenera età: la comunicazione deve diventare un’abitudine. Il dialogo va sostenuto ed incentivato in ogni contesto possibile, magari durante il bagnetto, a tavola, a merenda, prima di andare a letto. Spesso invece capita che nei primi anni di vita i genitori si dedichino anima e corpo ai propri figli e siano quindi molto presenti nella loro vita; poi invece, dalla Scuola Primaria in avanti, non dialogano più con loro. La comunicazione, invece, deve essere sempre presente, a sei, a otto, a dieci anni, cosicché nel periodo preadolescenziale ed adolescenziale sia ormai diventata un’abitudine. Ovviamente ci vogliono tempo, impegno, volontà. Se ci sono questi presupposti, il ragazzo o la ragazza dodicenni sicuramente proseguiranno nel dialogo con i genitori, raccontando il litigio con l’amica o il compagno, la cotta, il brutto voto o qualsiasi cosa turbi positivamente o negativamente il suo stato d’animo. Se invece negli anni precedenti questo dialogo non c’è stato, certamente non sarà semplice crearlo a questa età.
Per quanto riguarda l’ansia, possiamo dire che, dietro ad un bambino ansioso, nel 90% dei casi c’è un genitore ansioso. Proprio ieri un ragazzo ci raccontava che il giorno prima del compito era tranquillo, poi la madre gli ha chiesto come facesse ad essere così tranquillo prima di una verifica ed ha iniziato ad essere agitato anche lui. Ci ha riferito che la madre gli ha detto: “Sto agitata io per te!”. Spesso i ragazzi non riescono a fronteggiare le interrogazioni o le verifiche, in quanto si sentono pressati dai genitori, più o meno direttamente, e sono preoccupati di dare loro una delusione nel caso ottenessero un voto non in linea con le aspettative dei genitori. Ai genitori consigliamo quindi di non alimentare aspettative alte nei figli, alimentando in loro anche ansia e stress. Nei casi in cui siano i figli stessi ad avere delle alte aspettative e magari a lamentarsi di un voto che non le realizza, consigliamo di parlare con i ragazzi per capire cosa c’è dietro a quell’insoddisfazione, che in genere non è legata solo al voto, bensì ad un’ingiustizia o a un sentimento di inadeguatezza in una disciplina che invece viene considerata importante per la propria vita. Faccio un esempio: un sette in educazione fisica potrebbe essere recepito male da una studentessa che nella vita ha la passione per la danza, in quanto potrebbe pensare di valere poco – secondo i suoi standard o le sue aspettative – non solo in quella specifica prova di ginnastica, ma in generale anche nella danza che invece è una delle sue grandi passioni. In tal senso è necessario che i genitori scoprano e comprendano l’investimento affettivo che c’è dietro al voto.
Un altro fatto che genera ansia negli studenti è la mancanza di una sentita condivisione del patto educativo. Un tempo c’erano messaggi univoci da parte di genitori e docenti. Oggi purtroppo questo non avviene. Spesso c’è una rottura enorme: i genitori dicono una cosa, i professori un’altra. Da un lato il mondo della Scuola necessiterebbe di una riforma strutturale, quindi certe critiche sono anche corrette; tuttavia l’atteggiamento di molti genitori mina la credibilità dei docenti. Dobbiamo riconoscere che nelle Scuole del territorio non abbiamo mai riscontrato da parte dei docenti un atteggiamento non collaborativo o che abbia provocato direttamente delle situazioni problematiche. Al contrario, abbiamo ravvisato una grande disponibilità.
Nel nostro piccolo anche noi stiamo contribuendo a far vivere ai ragazzi momenti di serenità e di crescita all’interno dell’ambiente della Scuola, restituendole quella che dovrebbe essere la normalità, una normalità fatta di ascolto, di linguaggio gentile, di rispetto, assenza di pregiudizio, inclusione e più in generale di etica. Quella normalità che di un tempo, in cui la Scuola non si concentrava solo sull’istruzione, ma anche sulla formazione della persona. Negli Istituti Superiori trattiamo temi importanti che hanno a che fare con il senso della vita e la motivazione allo studio, uno studio che deve essere legato non alla performance, bensì all’apprendimento. In tal senso spesso mettiamo in crisi gli studenti e li invitiamo ad invadere l’altro, a mettersi in relazione, senza pensare di essere un peso per l’altro. Spesso infatti i ragazzi avvertono il fatto che non ci sia più tempo per il tempo insieme, per le relazioni di qualità, né con i genitori né con i docenti né con i coetanei. Siamo contenti di questo progetto, perché erano anni che un’Amministrazione non coinvolgeva così tanti adolescenti in un momento di incontro e confronto così proficui.

Poco più di una settimana fa un giovane liceale marchigiano ha tentato di suicidarsi lanciandosi dalla finestra della scuola, dopo aver preso un due. Prima di compiere il gesto, sul banco ha lasciato un foglio con su scritto: “Mi sento un fallito”. Cos’è un fallimento e cosa possiamo fare per far superare ai nostri adolescenti un fallimento?
Spesso i genitori, che hanno una grande preoccupazione verso i figli, cercano di evitare loro i fallimenti, perché l’imperfezione e quindi il fallimento, per i genitori, non sono un valore. Per questo motivo intervengono quotidianamente nella vita dei figli, minando la loro autonomia. L’eccessiva presenza del genitore può causare nel ragazzo l’ansia di non saper gestire da soli le situazioni. Inoltre, la volontà e le azioni dei genitori, volte a rimuovere gli ostacoli che i loro figli incontrano lungo la strada, così da evitare dei fallimenti nel raggiungimento di un obiettivo, procurano nei ragazzi una grande ansia, perché li costringono a cercare di non sbagliare per non deludere i genitori. Noi, invece, spieghiamo ai ragazzi che il fallimento è un valore positivo, perché da esso si impara, ci si riorganizza. Il compito degli adulti quindi non è evitare un fallimento ai propri figli, bensì insegnare loro come superarlo. Lasciamo i nostri figli liberi di sbagliare, di fallire, di cadere, perché dallo sbaglio ci si rialza e si impara.

 

Carletta Di Blasio: