Marco Staffolani
Alla presenza di oltre 80 persone, si è svolta la presentazione del volume Elogio della porosità – Per una teologia contestuale. Il 28 Febbraio scorso nell’aula gremita della nuova sede di Studium, un ascolto rigoroso ha accolto diversi studiosi e ospiti convenuti per riflettere sull’opera edita per l’emeritato del prof. Giuseppe Lorizio.
Ha iniziato i lavori il vicegerente Mons. Baldo Rèina esponendo la necessità di una grammatica teologica, un linguaggio che la teologia possa mettere in campo di fronte alle mutate esigenze dell’attuale areopago culturale. A seguire la prof.ssa Patrizia Manganaro si è domandata, stimolata dai contributi del prof. Adriano Fabris e della prof.ssa Giuseppina De Simone, come affrontare la morte, la soglia ultima con cui l’umano deve fare i conti. Argomento cardine, tanto negato quanto approfondito, la domanda sul limite estremo ricorda l’“utilità” della filosofia perché l’“animale uomo”, anche nel suo diventare “tecnologico” aiutato dalle neonate “intelligenze” artificiali, non può mai smettere di domandarsi sull’oltre e su come superare i propri limiti.
Mons. Armando Matteo, segretario per il dicastero della Dottrina della fede, ha evidenziato la particolarità della miscellanea oggetto della presentazione: diversi autori per età, provenienza culturale e ambiti di interesse, si ritrovano nell’insegnamento e nella riflessione del prof. Lorizio. Dalla filosofia teoretica alla teologia dogmatica, dalla storia della filosofia alla teologia interconfessionale passando per la metafisica agapica, il termine “porosità” indica la capacità di collegare questi ambiti come vasi tra loro comunicanti senza che i limiti di ciascuno irrigidisca il pensiero.
Per Sergio Gaburro, uno dei curatori dell’opera, il limite è zona fertile per il pensiero, quasi sub contraria specie necessaria perché il “potere teologico” si sveli nella sua pienezza: «La sfida teologica consiste nel credere alla “porosità” dell’evento cristiano, il quale può rivelare il suo incanto e la sua bellezza anche o proprio quando sembra aver raggiunto la scadenza, quando appare incapace di nutrire l’esistenza, quando è finalmente libero di diventare altro […] In questo senso la teologia può rinascere in modo nuovo e imprevedibile, senza più dover obbedire al vincolo dei ruoli già fissati in precedenza».
Viene così prospettato lo sviluppo della porosità in un contesto plurale: «l’intreccio della teologia con la mondanità non corrisponde a una gentile concessione, ma alla logica dell’incarnazione, del Verbo fatto carne […] Per la teologia, intrattenersi sui bordi accettando lo scambio poroso con la contemporaneità, significa rinunciare al pensiero univoco, al tentativo di assorbire l’altro. […] I confini su cui sostare sono quelli dei diversi saperi, delle discipline e delle culture e soprattutto le delimitazioni tra concetti in cui al posto di un pensiero lineare, compaiano intrecci, contaminazioni, innesti e sfumature».
Allora anche la teologia, tra i diversi contesti, può (e deve) confrontarsi, ad esempio, con la tecnologia, così che materie solo in apparenza lontane, si ritrovino a servizio della comune umanità. La tecnica, che può configurarsi come tentazione di autosalvezza, capace di far vedere già qui ed ora tanto, come i miracoli con cui il Cristo guariva i suoi contemporanei, non può però ottenere il tutto.
Lo stupore generato dalle divine guarigioni e dagli ultimi ritrovati tecnologici dovrebbe avere in comune il rimando all’oltre piuttosto che la reiterazione e la pretesa nell’immediato. Qui la teologia è chiamata a ricordare, nella fede, che Colui che ha promesso la vita e in abbondanza si è al contempo fatto egli stesso uomo. Egli può ridare a tutti non solo la vita, che il peccato e la morte ci hanno tolto (il tanto), ma la vita vera, quell’eterno tutto che è l’incontro senza fine con il Padre.
Come prospettato da Veritatis Gaudium, ci auguriamo che questa felice presentazione stimoli la ricerca teologica e filosofica nella duplice dimensione inter e trans disciplinare.