DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
«Dio ha […] tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
L’evangelista Giovanni, attraverso queste parole che Gesù rivolge a Nicodemo, ci ricorda, con forza, che Dio non è venuto per condannare né tantomeno per giudicare, ma solo per salvare, ossia fare in modo che l’uomo giunga alla pienezza di sé. E se proprio vogliamo parlare di giudizio di Dio, occorre ricordarci e sottolineare che Dio giudica amando e ama perdonando. Condanna salvando e si vendica perdonando.
Dà vita a chi gliela toglie e non toglie vita a chi non lo accoglie.
Di tutto questo ce ne dà testimonianza l’intera Parola di questa domenica.
Innanzitutto la prima lettura, tratta dal secondo libro delle Cronache. L’uomo porta spesso a Dio solo un pesante bagaglio di infedeltà, come il popolo di Israele. Leggiamo, infatti, che «…tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio che il Signore si era consacrato a Gerusalemme».
Ma cosa fa il Signore? «…mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora».
Messaggeri, profeti, maestri che non vengono ascoltati, anzi sono sbeffeggiati, disprezzati e scherniti.
Dio si arrabbia ma, lo abbiamo ascoltato domenica scorsa, è un Dio che «punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti».
Parole che ci dicono che la rabbia del Signore si estingue velocemente e velocemente lascia sempre il posto ad un perdono illimitato.
Infatti cosa fa Dio? Si serve addirittura di un re straniero e pagano, Ciro, re di Persia, che permetterà al popolo di Israele di lasciare la terra di Babilonia, porre così fine al suo esilio, rientrare in patria e qui ricostruire la testimonianza viva della sua alleanza con Dio, il tempio.
Scrive Paolo alla comunità di Efeso: «Per grazia […] siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio…». Dio dona continuamente all’uomo la sua misericordia, il suo amore, e la croce, che ormai si staglia all’orizzonte del nostro percorso quaresimale, non è un raccapricciante strumento di tortura che suscita devozione, ma la misura dell’amore di Dio.
Nel discorso a Nicodemo Gesù confessa che Dio è innamorato del mondo. Tutte le religioni hanno cercato di staccarsi dal mondo, hanno sottolineato l’infinita distanza tra Creatore e creatura, hanno constatato la pesantezza della vita al punto da proporre un cammino di distacco dalla realtà. Il nostro Dio, invece, si lega al mondo e, eternamente, altro non fa che considerare ogni uomo ben più importante di se stesso, al punto da dare la vita.
La nostra vita consiste, allora, nello scoprire la strada, nel percorrere la luce che Dio ci indica, nell’accogliere il destino di bene che Dio prepara per ciascuno di noi.
Infatti, esiste un solo modo per “essere condannati”, ed è un’auto condanna: non venire alla luce di sé, non sbocciare alla vita, non accettare di lasciarsi raggiungere dalla luce che è venuta nel mondo per splendere su tutti, cattivi e buoni, giusti ed ingiusti.
Non lo dimentichiamo: «Siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha preparato perché in esse camminassimo».
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