Bruno Desidera
I fatidici primi cento giorni, quelli della “luna di miele” con i propri elettori, non sono ancora trascorsi (il traguardo sarà tagliato nella seconda parte di marzo). Ma poche settimane sono già bastate al presidente dell’Argentina, l’anarco-liberista radicale Javier Milei, per dividere ancora di più l’opinione pubblica sul suo conto (sia in Argentina che nel resto del mondo), e per dare vita a controversi provvedimenti, anche se non come egli stesso avrebbe voluto, contestati nel corso di frequenti scioperi. Appena giunto alla Casa Rosada, ha svalutato il peso argentino del 50% rispetto al dollaro e varato due voluminosi progetti di legge, ben presto insabbiati dal Parlamento, dove il presidente non ha una maggioranza. Ma, attraverso alcuni decreti, ha provveduto a tagli “draconiani” di pensioni, capitoli di spesa pubblica e progetti assistenziali, pur rinnovando l’accordo con la Caritas per finanziare la sua rete di mense solidali. Il resto lo ha fatto l’inflazione, che galoppa a oltre il 250% ed è oggi, il maggior fattore di impoverimento del Paese, e anche della classe media. Ha pure potuto sbandierare un primo risultato: a gennaio, il bilancio dello Stato ha registrato un lieve attivo.Ha “guadagnato punti” con il Fondo monetario internazionale, ma nei quartieri popolari la gente è ridotta alla fame, tanto da indurre i “curas villeros” i sacerdoti delle periferie a supplicare il Governo di non “staccare la spina” alle “villas”, ai quartieri popolari, appunto.
I dati choc dell’Osservatorio Odsa-Uca. Hanno fatto scalpore, in questo senso, i dati forniti, a metà febbraio, dall’Osservatorio del debito sociale dell’Università Cattolica Argentina. Povertà e indigenza aumentano in modo esponenziale. In particolare, la popolazione indigente è cresciuta dal 9,6% nel terzo trimestre del 2023 al 14,2% nel dicembre 2023, e al 15% nel gennaio 2024. In aumento anche i livelli di povertà “relativa”, già elevati a dicembre, indagati anche per determinare gli effetti dell’impatto inflazionistico post-svalutazione. La ricerca ha rilevato che la percentuale di persone che vivono in povertà è aumentata dal 44,7% nel terzo trimestre del 2023 al 49,5% nel dicembre 2023 e al 57,4% nel gennaio 2024.
Ricetta “selvaggia e semplicistica”. “La situazione dell’Argentina – spiega al Sir Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, esperto di America Latina – va compresa assieme a quella del resto del Continente, che vive una crisi profonda e di lunga durata, una situazione insostenibile dal punto di vista della povertà, dell’occupazione, della sicurezza, della criminalità. Situazioni che si sono incancrenite e dono difficilmente affrontabili”. A maggior ragione, con ricette improvvisate. “In particolare, l’Argentina deve fare i conti, da decenni, con un’inflazione fuori controllo, ulteriormente aumentata nelle ultime settimane”.
In questo contesto, “Milei sta guidando il Paese come un ‘Cesare democratico’, attraverso decreti, anche perché in Parlamento i numeri non sono dalla sua parte. E sta cercando di tagliare spese, finanziamenti e sussidi. Il suo consenso e l’attenzione che gli viene dedicata risente del fatto che è, indubbiamente, un istrione, un grande comunicatore, pensiamo all’immagine simbolo della motosega, cui si presentava ai comizi.Anche se ha ottenuto un attivo di bilancio, però, la sua ricetta appare al tempo stesso selvaggia e semplicistica.Ha poco senso teorizzare uno Stato leggero in un contesto che chiederebbe, piuttosto, integrazione sovranazionale di politiche statali, su molti temi. E la storia ha già dato ripetutamente il suo giudizio su sistemi basati sul liberismo spinto. Le conseguenze sociali, poi, rischiano di essere pesantissime, come hanno denunciato i ‘curas villeros’, ci sono interi quartieri ridotti alla fame”. Resta, comunque il fatto, sottolinea La Bella, che il presidente argentino ha dovuto riporre nel cassetto alcune delle sue proposte più spinte, dall’introduzione del dollaro come moneta alla cancellazione della Banca centrale. In futuro, è prevedibile che sia costretto a venire a patti con il Parlamento e con i governatori delle province, mitigando gli eccessi”. Importante anche il colloquio con Papa Francesco, avvenuto l’11 febbraio, dopo gli insulti rivolti al Pontefice argentino in campagna elettorale: “Il Papa, mi pare, ha voluto smorzare le polemiche, inserendosi anche in una prassi consolidata della Santa Sede. Credo che abbia in mente, soprattutto, il bene dei più poveri ed emarginati, che mi auguro possa incontrare nel possibile e auspicato viaggio nel suo Paese natale”.
“Cartoneros” senza pasti e senza… cartone. Resta il fatto che,nelle principali città, i quartieri ribollono. Ogni settimana ci sono scioperi e manifestazioni. A far sentire la loro voce sono le organizzazioni popolari e di base.Lucas Pedró, giovane segretario dell’Utep, l’Unione dei lavoratori dell’economia popolare, spiega al Sir: “L’ascesa dei prezzi a causa dell’inflazione è impressionante, il costo del carburante è decuplicato in pochi giorni, anche chi ha un salario non riesce ad arrivare alla fine del mese. E dal Governo non arrivano risposte, anzi molti programmi di assistenza sociale sono stati congelati, si assiste a una precisa scelta di ‘deregulation’, che colpisce le fasce di popolazione meno protette, ma in parte anche la classe media”. La situazione, insomma, è drammatica, soprattutto per chi vive di lavori precari, quelli che in America Latina vengono chiamati “lavori informali”. È il caso, per esempio, dei celebri “cartoneros”, che vivono riciclando il cartone adoperato dalle persone più ricche, o dei tanti venditori ambulanti. Organizzazioni come l’Utep sono, appunto, la “voce” di questi lavoratori, ma anche soggetti che, dal basso, cercano di proporre nuove strade per un’economia solidale e cooperativa. “I ‘cartoneros’, oggi sono particolarmente in difficoltà. Se la gente, mediamente, non ha soldi, compra meno cose e di conseguenza calano anche gli imballaggi. Anche noi abbiamo delle mense solidali, ma ci sono anche problemi a far arrivare gli alimenti.
La denuncia dei “curas villeros.All’allarme si sono aggiunti, nei giorni scorsi, anche i “curas villeros”, i sacerdoti dei quartieri popolari e periferici di Buenos Aires e delle principali città.“In mezzo a tanti debiti con i più svantaggiati, apprezziamo le politiche pubbliche che sono state attuate nei quartieri poveri – si legge nella nota, firmata, tra gli altri, da padre Toto De Vedia, padre Charlie Olivero, padre Adrián Bennardis, padre “Pepe” Di Paola -. Queste politiche hanno reso possibile la crescita dell’inclusione”. Perciò, “è un colpo durissimo ridurre questi finanziamenti di cui beneficiano più di 5 milioni di residenti, la maggior parte dei quali sono minori. Non si può permettere che l’intervento dello Stato negli oltre 5.000 quartieri popolari di tutto il Paese diminuisca. Ridurre il budget del Fisu (Fondo si integrazione sociale urbana) sarebbe un passo indietro”.