LIBRI – S’intitola “La cetra e la penna. Dalla letteratura alla canzone d’autore”, edito da Ancora (collana Maestri di frontiera), il recente libro scritto da Marco Testi, storico della letteratura e critico letterario.
La canzone d’autore è la protagonista di questo suo ultimo lavoro letterario. In che modo cerca di affrontare questo tema?
La canzone è stata considerata a torto un corpo separato dalla poesia e dalla letteratura in genere. In realtà non è stato sempre così: ne abbiamo testimonianza in un’opera che abbiamo avuto sotto gli occhi negli anni delle superiori e poi negli studi umanistici, ovviamente per chi li aveva intrapresi: nel secondo canto del Purgatorio, il musico Casella intona, incantando tutti i presenti, una canzone di Dante stesso, “Amor che nella mente mi ragiona”, presente nella Vita Nuova, segno che l’antica tradizione provenzale e dei giullari di comporre musica e testo insieme non era stata dimenticata. E lo stesso Cantico di frate Sole di Francesco d’Assisi probabilmente era nato per essere accompagnato dal canto. Nel corso dei secoli questa unità è stata spezzata, anche se con eccezioni rilevanti, fino a che non si è tornati, grazie ai canti tradizionali, al gospel, alla folk song, e ad altre tradizioni popolari, a ricucire questa frattura. Non a caso il premio Nobel per la letteratura nel 2016 è stato conferito a Bob Dylan, uno dei pionieri del ritorno della poesia alla musica. E viceversa.
Nell’introduzione cita Franco Battiato.
Battiato è stato un unicum nel nostro panorama culturale e non solo discografico. Un altro che ha unito poesia e musica. Non a caso un mio libro di pochi anni fa in cui si parlava delle possibilità di aiuto e sostegno della lettura si chiama La cura, come la sua splendida canzone. E potremmo citarne molte, troppe: diventerebbe un freddo elenco. Ricerchiamole una per una, e ancora una volta faremo i conti con la poesia come unione di parole e tessuto musicale. Che diventano però, grazie a questa unione, altro che non semplice canzone e semplice tessuto musicale. Qualcosa che ha a che fare con la mente, lo spirito, il corpo. Con l’uomo nella sua interezza e nel suo rapporto con il creato.
Lei parla anche della Bibbia e del ruolo che ha avuto nella stesura dei testi da parte dei cantautori.
Dove non ce lo aspetteremmo. Ad esempio nel rock progressivo e trasgressivo dei Settanta del Novecento, con gli Osanna, ed è solo un episodio tra tanti. Il gruppo partenopeo incise un pezzo parte della colonna sonora del film Milano calibro 9 diretto da Fernando Di Leo nel 1972, con musica di Luis Bacalov: “There will be time” (sottotitolo “Canzona”, con la a finale alla maniera medioevale). Le parole vengono da molto lontano, con la mediazione di “Turn turn turn” del complesso dei Byrds, (che aveva portato ad un nuovo successo “mr. Tambourine man” di Dylan), ma creata dal cantautore Pete Seeger, e prima ancora dell’Eliot di Prufrock ed altre osservazioni: tutto proviene però dal bellissimo Ecclesiaste di “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire”. E molto altro.
Parole e musica dagli anni Cinquanta ad oggi, passando da Cohen e Dylan, a Brel e Brassens fino a Dalla, De André, De Gregori e Vecchioni. C’è qualcosa che li accomuna?
Sono individualità radicalmente diverse una dall’altra. È come se volessimo trovare qualcosa in comune tra Petrarca e Montale. Lo troveremmo, certo, ma rimarrebbe una differenza radicale dettata dalle epoche, dalla cultura e dall’individualità.
Definisce questo suo libro come un viaggio alla ricerca delle sorgenti della canzone d’autore. Ci può spiegare?
La poesia e la narrativa di tutti i tempi hanno influenzato la canzone di oggi. Lo abbiamo visto per l’Ecclesiaste, ma potremmo pensare al Dante che fa capolino in De Gregori, o il Brel che riprende il tema del viaggio e dell’addio di Rimbaud o il motivo dell’amicizia che si vorrebbe non finisse mai comune al Dante di “Guido ‘i vorrei” e al Nobel 2016 di “Bob Dylan’s blues”, al non senso e alla noia delle domeniche nell’esistenzialismo e poi nella canzone francese. E sono solo pochi esempi.
Attraverso queste pagine si rivolge ad un target particolare?
Assolutamente no. Chi ama la letteratura può servirsene per capire quanto di poesia e narrativa è precipitato nella canzone, chi predilige invece la musica e i cantautori, oltre che i gruppi e le formazioni che si sono avvicendate dai Beatles in poi, comprenderà l’importanza, inimmaginabile ai più, della letteratura “colta”. I non più giovanissimi potranno ripercorrere quelle strade apparentemente perdute, i giovani potranno capire come la musica contemporanea non sia un fungo spuntato a caso, ma il frutto di una lunga tradizione che viene da molto, molto lontano.
Marco Testi, docente di Tecniche e dinamiche di gruppo presso la facoltà di Scienze religiose “A. Trocchi” collegata con la Lateranense, scrive sulle pagine culturali dell’agenzia stampa SIR, su «L’Osservatore Romano» e «La Civiltà Cattolica». Ha pubblicato, fra le altre cose, Sentieri nascosti. Quando i libri celano nuovi modi di vedere il mondo (Ed. Fili d’aquilone, 2019); La cura. Il libro come salvezza dalla solitudine e dalla paura (Fuorilinea, 2021) e il romanzo Risvegli (Robin, 2023).