Giovanna Pasqualin Traversa
Strategie di inclusione – Scuola cattolica e disabilità è il seminario on line promosso sabato 2 marzo dall’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università, e dal Centro studi per la scuola cattolica (Cssc) della Cei. Con suor Veronica Amata Donatello, responsabile del Servizio nazionale Cei per la pastorale delle persone con disabilità, che ha partecipato all’incontro, abbiamo parlato dell’evento e, più in generale, del cambio di paradigma necessario per arrivare ad un autentico progetto di vita.
Secondo il XXV Rapporto del Cssc Includere la disabilità, presentato lo scorso ottobre, gli istituti cattolici sono oltre 7.700 con più di 530mila alunni; su questi sono oltre 10mila i ragazzi con disabilità. Per Sergio Cicatelli, coordinatore scientifico del Cssc, anch’egli intervenuto al seminario, occorre “raccogliere la sfida dell’inclusione e farne l’occasione per cambiare decisamente il nostro modello di scuola”. Secondo i curatori dell’indagine, “se non ci fossero costi aggiuntivi, molto probabilmente il numero degli alunni disabili nelle scuole cattoliche sarebbe molto più alto”.
Suor Veronica, che cosa è emerso dal seminario?
Dalle testimonianze e dagli interventi ho avuto la percezione che la scuola cattolica, pur con pochi mezzi, stia facendo un grandissimo lavoro a livello pedagogico, anche perché il sostegno che ha viene spesso dalla buona volontà delle persone, dalle forze che la stessa scuola cattolica mette a disposizione. In altri termini,
c’è molta buona volontà e impegno anche nella formazione, ma indubbiamente esiste un problema di scarsità di risorse.
La scuola è un pilastro fondamentale, ma la vita va oltre…
Da questo punto di vista è emersa la volontà e la capacità di fare rete perché scuola e università mettano al centro il progetto di vita delle persone con disabilità. I docenti universitari intervenuti hanno preso atto di come la Cei abbia avuto l’intuizione di accompagnare, anche attraverso la nascita di questo Servizio dedicato, le varie fasi della vita delle persone con disabilità; uno sguardo che invece, secondo loro, viene meno in altri contesti. L’università lavora per l’università. Punto. Loro stessi, per primi, lo riconoscono e apprezzano il tentativo della Chiesa di non limitarsi ad un unico aspetto, ma di portare avanti a piccoli passi l’accompagnamento delle varie età della vita, né facile, né scontato.
La sfida è un progetto di vita che offra sostegni diversificati, non una risposta unica.
Va in questa direzione il 3° Convegno nazionale “’Noi, non loro’ in ogni stagione della vita” che il Servizio da lei guidato promuove in aprile a Napoli, presso il Complesso universitario di Scampia, scandito proprio dalle diverse età anagrafiche.
Sì, dobbiamo avere il coraggio di lasciarsi provocare dalle varie istanze della vita per offrire risposte personalizzate. Una sfida impegnativa perché non si lavora su macro-aree o solo sulla diagnosi, ma sulla persona per mettere in campo sostegno e risposte individuali.
Il 3 marzo, 15° della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, la ministra Alessandra Locatelli ha affermato che con la legge delega verrà introdotto nel nostro Paese il “progetto di vita”, ossia il riconoscimento non solo dei bisogni, ma delle aspirazioni e dei desideri di queste persone.
Desideri, la parola chiave è proprio desideri.
Occorre avere il coraggio di offrire sostegno ai desideri mettendo in rete iniziative e attività su misura. La persona che abbiamo davanti è complessa, diversa da ciò che noi riteniamo sia, e non tutti possono essere “abili“ alla risposta. Va in questa direzione il lavoro fatto insieme all’Ufficio nazionale Cei per l’educazione, la scuola e l’università con gli istituti professionali, ora anche in triangolazione con l’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro. Le istanze sono molteplici, la disabilità è trasversale; nessuno può essere escluso da questo percorso che si fa con le persone con disabilità per valorizzarne i talenti e promuoverne la partecipazione. Dobbiamo pensare anche a chi, con disabilità più complesse, ha forse bisogno di vivere in strutture residenziali o semi residenziali.
Andando oltre l’approccio medico, assistenzialista e riabilitativo, occorre mettere al centro la persona.
Quindi occorre lavorare in rete. Ma per essere in grado di incidere efficacemente sulla società, quali devono essere soggetti di questa rete?
Anzitutto le stesse persone con disabilità; talvolta pensiamo che i non verbali non abbiano una visione, dei desideri, che non comprendano. Loro invece si devono sentire i primi soggetti; quindi le famiglie, che non sempre riescono ad avere una visione progettuale perché a volte considerano il figlio adulto con disabilità un eterno bambino. E poi la scuola, le associazioni, le diocesi, gli enti locali, ma anche le regioni e il Governo. E’ finita la “pastorale delle bandiere”. Il 1° aprile 2022, nell’incontro con la Federazione italiana autismo, il Papa ci ha detto che comunità ecclesiale e comunità civile sono chiamate a lavorare in rete, a collaborare per aiutare i più deboli a far sentire la propria voce. Solo così si può realizzare una gamma di sostegni ampia e diversificata e offrire a Marco, Francesca, Giorgia e Luca la risposta che cercano.