Sergio Perugini
Poche sorprese, ma neanche “scherzi amari” dell’ultimo minuto. Tutto, o quasi, è andato come da previsione nella 96a edizione degli Academy Awards a Los Angeles. A fare bottino, meritatamente, è l’imponente e bellissimo kolossal storico-politico “Oppenheimer” di Christopher Nolan, che agguanta 7 Premi Oscar, tutti di fascia alta, in particolare miglior film dell’anno e regia. In una serata scintillante, dal ritmo però non sempre sostenuto – bene ma non benissimo la conduzione del comico Jimmy Kimmel, un po’ sottotono – a uscirne vincitori sono anche “Povere creature!” di Yorgos Lanthimos, visionario affresco sull’emancipazione femminile, con 4 statuette tra cui la miglior attrice Emma Stone, e “La zona d’interesse” del britannico Jonathan Glazer, 2 premi importanti, compreso miglior film internazionale. Resta a mani vuote Matteo Garrone con “Io Capitano”, ma le delusioni più brucianti riguardano Martin Scorsese con “Killers of the Flower Moon” (10 nomination, nessun premio) e Bradley Cooper con “Maestro” (7 nomination, zero Oscar), come pure Greta Gerwig con “Barbie” (8 candidature), film vincitore solo per la canzone originale “What Was I Made For?” di Billie Eilish, che entra nella storia per il secondo Oscar (“No Time to Die”, 2022) vinto a soli 22 anni. Nell’insieme, i verdetti risultano giusti ed equilibrati, in un’annata di certo straordinaria. Il punto Cnvf-Sir.
Nolan e Lanthimos, la vittoria di due registi visionari
Tredici le candidature con cui si è presentato all’appuntamento degli Oscar96. E torna ora a casa con il numero più alto di statuette, sette in tutto. “Oppenheimer” ha fatto la voce grossa agli Oscar, e meritatamente: Christopher Nolan ha saputo raccontare una complessa pagina di Storia ricorrendo a uno stile epico, alternando dinamiche da legal thriller con lampi di dramma esistenziale, incursioni oniriche e introspettive. Nolan ha confermato tutte le sue qualità come regista esperto, vigoroso e visionario, qualità evidenti a ben vedere già nella sua breve ma significativa filmografia, con cui ha sfiorato più volte l’Oscar: “Memento”, “Inception”, “Interstellar”, “Dunkirk” e “Tenet”. “Oppenheimer” espugna i premi più ambiti: miglior film, regia, attore protagonista Cillian Murphy, non protagonista Robert Downey Jr., come pure montaggio di Jennifer Lame, fotografia di Hoyte van Hoytema e l’eccellente colonna sonora di Ludwig Göransson.
A tenere testa al kolossal di Nolan targato Universal è un altro autore visionario, il regista greco Yorgos Lanthimos con il suo “Povere creature!” (Searchlight-Disney), Leone d’oro a Venezia80, che agli Oscar correva con 11 nomination. Di statuette alla fine ne ha conquistate quattro, ma di certo rilevanti: costumi, scenografie, trucco-acconciature e soprattutto quella per la miglior attrice protagonista Emma Stone. La giovane diva statunitense, con un Oscar già all’attivo per “La La Land” (2017), fa il bis con un ruolo spiazzante, acuto e irriverente: la sua Bella Baxter incanta per il mondo in cui rappresenta allegoricamente il percorso di ribellione e affermazione femminile. La Stone si impone – e giustamente! – sull’altrettanto favorita Lily Gladstone in gara per “Killers of the Flower Moon”, entrando così nella storia del cinema hollywoodiano come una delle poche attrici ad aver ottenuto 2 Oscar entro i 35 anni. Come lei poche, iconiche, dive tra cui Meryl Streep, Jodie Foster, Elizabeth Taylor e Bette Davis.
Gli europei Glazer e Triet nell’olimpo di Hollywood
I due eccellenti “outsider” di provenienza europea, “Anatomia di una caduta” di Justine Triet e “La zona d’interesse” di Jonathan Glazer, entrambi con 5 candidature, non hanno disatteso le aspettative. “La zona d’interesse” ha conquistato il titolo di miglior film internazionale – mettendo fuorigioco “Io Capitano” di Matteo Garrone e “Perfect Days” di Wim Wenders – ma anche il miglior sonoro. Un’opera di sconvolgente potenza ed efficacia, che ha raccontato la ferita della Shoah, il campo di concentramento di Auschwitz, sposando una prospettiva di osservazione spiazzante e inedita. “Le scelte sono state fatte – ha dichiarato il regista ricevendo la statuetta – alla luce non solo del passato, ma anche del nostro presente. Contro la disumanizzazione. Il pensiero oggi va alle vittime sia dell’attacco del 7 ottobre sia di Gaza. Tutte vittime della disumanizzazione”.
Con “Anatomia di una caduta”, Palma d’oro a Cannes76, la regista-sceneggiatrice Justine Triet – che firma il copione con il compagno Arthur Harari – conquista la miglior sceneggiatura originale. E non poteva essere altrimenti, perché il film poggia quasi totalmente sulla scrittura oltre che sulla performance della protagonista, l’ottima Sandra Hüller. Altro autore non “a stelle e strisce” incoronato durante la notte degli Oscar è il maestro giapponese Hayao Miyazaki, che ha vinto con “Il ragazzo e l’airone” nella categoria miglior film animato.
Due premi importanti poi a titoli che riguardano la comunità afroamericana: il primo è per l’attrice non protagonista Da’Vine Joy Randolph per il film “The Holdovers. Lezioni di vita” di Alexander Payne, l’altro è per il copione non originale di “American Fiction” di Cord Jefferson, dal romanzo di Percival Everett.
Testimonianze e simboli per la pace
Lo stop alle guerre è la richiesta che giunge dal palco degli Oscar96, sia attraverso i discorsi dei premiati sia con le spillette rosse appuntate sugli abiti dei divi. Anzitutto l’attore protagonista Cillian Murphy (“Oppenheimer”) ha concluso il suo discorso dedicando “l’Oscar a coloro che portano la pace nel mondo”. Ben più forte, però, è risuonato l’appello del vincitore del miglior documentario, “20 Days in Mariupol”, di Mstyslav Černov, che ha affermato: “È la prima vittoria per l’Ucraina. Ne sono onorato. Sinceramente, però, avrei voluto non dover girare questo film, su questo tema”. Sulla stessa linea, il corto animato “War is Over! Inspired by the music of John & Yoko” che vede il coinvolgimento di Sean Ono Lennon. Se guardiamo, poi, ai temi delle opere in gara, si riscontrano tante prese di posizione contro la vertigine della violenza, del male, e la degradazione morale dell’uomo: ad esempio “Oppenheimer”, “La zona d’interesse”, “Killers of the Flower Moon”, “Io Capitano”.
Sul palco commozione, lampi pop e “shock”
La cerimonia degli Oscar è scivolata via in maniera discretamente elegante e con un buon ritmo, anche se spesso senza troppi sussulti. A latitare è stato di certo il comico Jimmy Kimmel, che non ha fatto emergere la sua solita verve. Il monologo iniziale è stato poco esplosivo, limitandosi meramente a giocare con titoli e interpreti. Non passerà sicuramente sottotraccia il nudo (ben poco esilarante) del wrestler-attore John Cena, che con Kimmel ha concordato tale “soluzione estetica” per introdurre il premio per i migliori costumi. Non sono sfuggite poi le freccine scambiate via palco e social media tra il conduttore e il candidato alla presidenza Donald Trump.
Ancora, il momento decisamente più pop, fluo, è la performance di Ryan Gosling, che si è esibito interpretando il brano “I’m just Ken” dal film Barbie: numero corale che ha coinvolto e trascinato platea e telespettatori. Nonostante la simpatia, però, il brano non lascia molto traccia e per fortuna a vincere come miglior canzone è “What Was I Made For?” di Billie Eilish (“Barbie”), che ha offerto una performance raffinata insieme al fratello musicista Finneas O’Connell.
Infine, toccante il consueto momento di cordoglio rivolto ad artisti e tecnici del settore che ci hanno lasciato nel corso dell’anno: “In Memoriam”, impreziosito dalla voce del tenore italiano Andrea Bocelli che ha intonato “Con te partirò”. Tra le personalità ricordate in apertura c’è Aleksej Naval’nyj, seguito da Michael Gambon, Harry Belafonte, Norman Jewison, Chita Rivera, Alan Arkin, Tom Wilkinson, Jane Birkin, Ryan O’Neal, Julian Sands, Mathew Perry, Richard Lewis, Glenda Jackson e Tina Turner.