Stefano De Martis
I dati Istat sul mercato del lavoro sono positivi anche nel quarto trimestre del 2023, così che lo scorso anno si è chiuso con un aumento di 481 mila occupati. L’incremento è stato proporzionalmente maggiore al Sud (spinto da Pnrr e Superbonus) che al Nord: +1,6% contro +1,3%. Lo scarto tra le due aree a vantaggio del Settentrione resta comunque vistoso, ben oltre i 21 punti percentuali. Sul dato nazionale c’è poi l’ombra delle stime provvisorie per gennaio, ricordate dall’Istat nella recentissima Nota bimestrale sull’andamento dell’economia italiana. Nel primo mese del 2024, infatti, l’occupazione è diminuita dello 0,1%. Un calo di lieve entità, ma che arriva dopo una sequenza positiva di sei mesi. Bisognerà verificare la sua portata nel tempo, in un quadro globale penalizzato “da un’elevata incertezza sull’evoluzione delle tensioni geo-politiche” e caratterizzato da “prospettive di crescita moderate”.
Crescita faticosa anche per il nostro Paese, con il Prodotto interno lordo che nel 2023 registra un incremento annuo dello 0,9%, nettamente superiore a quello della media dell’area euro (+0,4%), ma che l’Istat definisce “in decelerazione” rispetto al 2022. Molto significativa l’analisi dei fattori che hanno supportato questo livello del Pil. Nel quarto trimestre dello scorso anno il valore aggiunto dell’industria ha segnato “una sostanziale stazionarietà”, il comparto dei servizi si è “stabilizzato”, quello agricolo ha mostrato “una contenuta flessione”. E allora da dove viene la modesta ma non irrilevante crescita rilevata dall’Istituto di statistica? Dal settore delle costruzioni, che aumentano ancora del 4,7%. E’ il paradosso del Superbonus. Da un lato è un autentico salasso per i conti pubblici. L’Enea ha computato in febbraio altri 7 miliardi di detrazioni, che si aggiungono ai 114 miliardi già maturati. Dall’altro, però, è il fattore che tiene su il Pil, con un andamento territoriale tutt’altro che scontato, come spiega il Rapporto Svimez-Ref, fresco di presentazione. “In termini assoluti e pro-capite, il ricorso al Superbonus è stato maggiore nelle Regioni del Nord”, si legge nel Rapporto, ma “se si valuta l’impatto relativo alle singole economie regionali…l’incidenza è stata maggiore sulle Regioni del Mezzogiorno”, specialmente in Abruzzo, Basilicata e Molise, dove nel 2023 gli investimenti con Superbonus hanno toccato valori prossimi al 3,5% del Pil, contro valori inferiori all’1,5% in Toscana e Lazio e una media nazionale vicina al 2%. Il che vuol dire che quando la stretta normativa sul Superbonus dispiegherà concretamente tutti i suoi effetti nell’anno in corso, la flessione sarà generalizzata a livello nazionale, ma il ridimensionamento sarà più duro proprio là dove lo stimolo positivo è stato più intenso, quindi nelle Regioni meridionali.
Il Rapporto avverte che “le differenze strutturali andate consolidandosi nel tempo” potrebbero allargarsi. “Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, al Nord, dovrebbero crescere di più”, perché queste tre Regioni “quando riparte la domanda estera ‘giocano un’altra partita’ rispetto al resto del Paese”. Al Centro, “Toscana e Lazio continuano ad allontanarsi da Umbria e Marche” e “anche il Sud al suo interno vede percorsi differenziati”. Secondo Svimez e Ref “è qui che risiede la vera sfida del Pnrr: aggredire nei territori più in difficoltà quei nodi che ne ostacolano la crescita a saggi comparabili con le Regioni più dinamiche”, “interrompendo, così, la frammentazione dei percorsi di sviluppo regionali che si è consolidata da inizio millennio fino alla pandemia”.