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Siria: mons. Jallouf (vicario latino), “qui il popolo continua a soffrire e a morire, ma non ne parla più nessuno”

Homs, foto SIR/Marco Calvarese

Di Daniele Rocchi

“Una visione tremenda mi fu mostrata: il saccheggiatore che saccheggia, il distruttore che distrugge… Sentinella, quanto resta della notte?”: cita i versetti del profeta Isaia (21, 2) mons. Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa, vicario apostolico di Aleppo, per raccontare la ‘sua’ Siria, dopo 13 anni di guerra (15 marzo 2011 – 15 marzo 2024). Per oltre 20 anni mons.

Mons. Hanna Jallouf (Foto Chiese Orientali)

Jallouf è stato guida della parrocchia di Knayeh, Governatorato di Idlib, in mano ancora oggi ai jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham, e di quelle di Yacoubieh e Gidaideh, gli altri due villaggi cristiani nella Valle di Oronte che si trova a circa 50 chilometri da Antiochia. Rapito dai miliziani di Al-Nusra nel 2014, padre Hanna in questi lunghi anni di guerra non ha mai abbandonato i suoi fedeli, è sempre rimasto con loro insieme al suo confratello padre Louai Sbai, divenendo così un simbolo di speranza per la chiesa in Siria. Un legame reso ancora più forte dal fatto che mons. Jallouf è il primo siriano nominato vescovo e, come vicario apostolico di Aleppo, oggi ha giurisdizione su tutti i cattolici di rito latino presenti in Siria.

Senza risposta. “La notte per la Siria appare ancora lunga – dice al Sir – e non ne vediamo la fine. La domanda, ‘quanto resta della notte’, non ha risposta. La cosa che fa ancora più male è che il nostro Paese è stato abbandonato.

Nessuno parla più della Siria.

Offuscata da altri conflitti, a Gaza e in Ucraina, nessuno ne parla più, sembra scomparsa dalle agende diplomatiche e anche dai notiziari e dalle pagine dei giornali. Per molti attori internazionali la Siria non esiste più, eppure la situazione è grave, la popolazione soffre la fame e la mancanza di beni primari. In Siria si continua a morire”.

foto SIR/Marco Calvarese

I numeri della crisi. Secondo l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, sono più di 7,2 milioni gli sfollati interni e oltre 5 milioni i rifugiati nei Paesi vicini: Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. 16,7 milioni di persone all’interno del Paese necessitano di aiuti umanitari, il numero più alto dall’inizio della crisi. 12,9 milioni di persone sono in condizioni di insicurezza alimentare. La situazione economica è sempre più disastrosa, si stima che il 90% della popolazione viva al di sotto della soglia di povertà. Le conseguenze del devastante terremoto dello scorso anno hanno ulteriormente aggravato la situazione. Dei 5 milioni di rifugiati siriani nei Paesi confinanti, oltre il 47% sono bambini.

Piena di poveri. “Forse stiamo vivendo il momento più brutto dallo scoppio della guerra – spiega il vicario apostolico -. Oggi i siriani hanno a che fare con il costo della vita, con la corruzione, con una crescente criminalità, con la mancanza di lavoro, tutte conseguenze della guerra, delle sanzioni, delle frontiere chiuse.

Oggi in Siria i salari si aggirano sui 25 dollari mensili, una cifra che ti permette di acquistare solo un paio di chili di carne. Come si fa a vivere così?

La fortuna di tanti siriani è di avere dei familiari all’estero che inviano denaro. La Siria, così come il Libano, vive delle rimesse dei suoi connazionali della diaspora. Il Paese è pieno di poveri, chi era ricco oggi è povero. Tutti hanno bisogno di aiuto. Come Chiesa cerchiamo di dare il nostro contributo, ma le esigenze sono enormi”.

foto SIR/Marco Calvarese

Nel febbraio scorso insieme a rappresentanti delle diverse comunità religiose siriane, come salesiani, gesuiti, lazzaristi, cappuccini, francescani, Verbo Incarnato, mons. Jallouf è stato dal presidente Assad a rappresentare queste difficoltà e ribadire tutto l’impegno della Chiesa a favore della popolazione. Fondamentale, a riguardo, è il sostegno dato da tanti organismi ecclesiali internazionali come la Caritas. In Siria solo la chiesa latina può contare su 172 religiose e su oltre 60, tra preti e consacrati.

Siria: la chiesa di Knayeh, (Idlib) senza croci (Foto H.J.)

Il pensiero a Knaye. Mons. Jallouf non dimentica i villaggi cristiani dell’Oronte, e la parrocchia di Knaye, dove, dice con soddisfazione “è arrivato da pochi giorni il mio successore, padre Khokaz Iohanna Mesrob, originario proprio di Knaye, che ha già cominciato a lavorare con i fedeli. Nel Governatorato di Idlib, sotto influenza turca, la situazione sembrerebbe migliorata stando anche a quanto ci dicono i nostri cristiani. Abbiamo ricostruito le loro abitazioni, fatto restituire proprietà e terreni, vivono un po’ più serenamente. Grazie al lavoro di tante organizzazioni è migliorata la situazione sanitaria, le medicine vengono distribuite gratuitamente, anche l’erogazione dell’energia elettrica è garantita perché arriva dalla Turchia. Restano, comunque, molte gravi criticità perché in questa area si muovono molte fazioni e milizie armate, ci sono turchi, curdi, esercito siriano libero. Si combatte anche in queste zone e con tanti morti. Ma nessuno lo dice”.

L’attesa continua. “In questi 13 anni di guerra in Siria abbiamo visto ‘il saccheggiatore che saccheggia, il distruttore che distrugge’, – rimarca mons. Jallouf, ripetendo le parole del profeta Isaia – viviamo nelle tenebre. Ma continuiamo a sperare nell’alba, nel sole che può donare calore ai siriani. Confidiamo nell’aiuto di Dio affinché agisca nel cuore dei cosiddetti ‘potenti’ per arrivare a una soluzione pacifica equa, giusta e sostenibile. Noi cristiani siamo chiamati a sperare contro ogni speranza. Siamo rimasti qui nonostante le persecuzioni e la sofferenza e continueremo a pregare per il nostro Paese. Per quanto difficile e dura sia la situazione preghiamo per la resurrezione della Siria”.

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