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Julian Assange, l’Alta Corte britannica concede l’appello

Patrizia Caiffa

L’Alta Corte del Regno Unito ha deciso oggi che Julian Assange, il giornalista australiano co-fondatore di Wikileaks, potrà presentare un nuovo appello contro la richiesta di estradizione presentata dagli Usa. I giudici britannici hanno dato agli Usa un’ulteriore opportunità di fornire assicurazioni diplomatiche che i diritti umani di Assange non saranno violati. La Corte esaminerà nuovamente il caso il 20 maggio, ma nel frattempo il giornalista continua ad essere detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra, senza essere sottoposto a processo. Gli Stati Uniti lo accusano di aver violato il National Espionage Act, la legge sullo spionaggio americana, che risale al 1917, per aver rivelato, a partire dal 2010, circa 700.000 documenti militari e dispacci diplomatici di Washington, facendo luce su crimini di guerra compiuti dagli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan. Sul 52enne giornalista australiano pendono 18 capi d’accusa e per la legge americana rischia 175 anni di carcere. Assange è diventato icona del giornalismo libero. In giornata sono stati infatti organizzati presidi di giornalisti e attivisti per i diritti umani a Roma, Napoli, Milano.

“Assange torni ad essere un uomo libero”. “È una buona notizia”, commenta al Sir monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi e vescovo emerito di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti. In passato il vescovo si era adoperato per cercare una interlocuzione tra la famiglia di Assange e la Santa Sede. La moglie, Stella Assange, fu ricevuta da Papa Francesco il 30 giugno 2023. “Vedere questo accanimento contro un uomo, un giornalista, uno che è chiamato a dire sempre o a scrivere la verità, è davvero scandaloso. E la punizione ammonterebbe a 175 anni di carcere, solo perché ha detto la verità!” Monsignor Ricchiuti formula l’auspicio che Assange “non venga estradato ma soprattutto che torni ad essere un uomo libero”.

Papa Francesco con Stella Assange – (Foto Vatican Media/SIR)

“Della verità non bisogna avere mai avere paura – osserva il vescovo -. Sulla verità si costruisce una relazione, un dialogo, una possibile pace e riconciliazione. Perseguitare chi dice la verità è davvero un crimine. Il crimine lo commette chi ha paura della verità. E noi sappiamo che la verità è finita sulla croce, e che ci è stato detto ‘La verità vi farà liberi’”

“La pace si costruisce anche sulla verità”. “Sapere ad esempio, a tanti anni di distanza, che l’intervento armato in Iraq, con tutto quello che ha comportato, poteva essere evitato, fa male – prosegue -. Era stata una ritorsione degli Stati Uniti di Bush, costruita sulla menzogna delle armi batteriologiche di Saddam Hussein, che poi non esistevano. Fa male perché la pace si costruisce anche sulla verità, sul non temere o avere paura di dire la verità. La pace deve essere frutto della giustizia e della giustizia sociale. Non temere di dire la verità, ossia “sì, sì, no, no”, è evangelico. La verità non va mai distorta”.

“Serve più profezia”. Invece, fa notare, “predomina sempre la verità di parte. Ma non bisogna avere paura di dire parole come ‘genocidio’ o ‘negoziato’, la verità non deve far paura. Perché mettersi intorno ad un tavolo per cercare il confronto e il dialogo è l’unica strada”. “Penso che oggi forse abbiamo più bisogno di profezia che di diplomazia – conclude -. E non alludo ovviamente alla diplomazia vera, quella che cerca il negoziato e cerca di far incontrare i contendenti, di interporsi come forza non violenta. Intendo più profezia nella Chiesa, nei rapporti interpersonali, nei rapporti politici”. In questo periodo Pax Christi è infatti impegnata nella denuncia della guerra come soluzione dei conflitti, contro il continuo riarmo e la volontà di mettere mano sulla legge 185/90 che regola in Italia il commercio di armi.

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