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Ezechiele Ramin in Amazzonia: ogni ingiustizia sfida il cristiano

(Foto: ANSA/SIR)

Lele, come lo chiamavano tutti, era nato per proteggere i piccoli del Vangelo.

Ezechiele Ramin (Padova 9 febbraio 1953- Cacoal 1985) è stato un missionario comboniano assassinato in Brasile dai latifondisti per il suo impegno in difesa dei campesinos e degli indigeni Surui nello Stato brasiliano della Rondonia. Per questo è ricordato come un martire dell’Amazzonia, ma il suo cammino di fede comincia da giovane, in oratorio e nell’associazione Mani Tese. Nel 1980 diventa comboniano e la sua prima missione è accanto ai terremotati in Irpinia, tra le macerie e i morti in un inverno gelido. Arriva in Brasile all’inizio del 1984, quando la lunga dittatura, iniziata nel 1964, sta per finire, e da qualche tempo è iniziato il grande esodo di contadini senza terra verso lo Stato di Rondonia. Lele fa base a Cacoal e opera in un contesto di famiglie migranti dove la gente muore assassinata per un pezzo di terra strappata alla foresta.Scrive: “Ho parlato per l’ennesima volta di un altro leader assassinato, Marçal Tupà-y, l’indio guaranì che nel luglio 1980, davanti al Papa, aveva denunciato l’invasione delle terre indigene, l’eliminazione dei loro capi, la rapina delle loro risorse. Gli è costato la vita. Una stretta mi passa sul cuore al pensare alle parole da lui pronunciate quel giorno. È stato seppellito; le braccia sono rimaste fuori perché sono quelle della croce”.In un mondo difficile e violento, Lele sta dalla parte degli ultimi, sta con la Chiesa Popolo di Dio e tra loro è testimone incarnato della giustizia e della solidarietà, visita le comunità sparse nella foresta disboscata e di denuncia presso le autorità di tutti gli abusi di potere commessi nei confronti dei contadini e degli indios.Scrive nel 1984: “Ho la passione di chi segue un sogno. La parola ha un tale accoramento che se la raccolgo nel mio animo sento che c’è una liberazione che mi sanguina dentro. La mia esperienza è di camminare su strade che non hanno un arrivo, su strade che non hanno un cielo, Uomini buoni o no, generosi o no, fedeli o no, rimangono fratelli. Noi siamo nel linguaggio del Signore. Questa Chiesa è organizzata e ha grinta; mi ci trovo bene”.L’anno dopo comincia a ricevere lettere e minacce di morte e il 24 luglio, Lele partecipa ad in contro ad Aripuana in cui cerca di persuadere i piccoli agricoltori a non impugnare le armi contro i latifondisti. Al ritorno viene ucciso in una imboscata da 50 colpi di pistola. “Vi perdono” sono le sue ultime parole.

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