DIOCESI – Giovedì 28 Marzo alle ore 21.00, presso Cattedrale Santa Maria della Marina di San Benedetto del Tronto, si è tenuta la Santa Messa in Coena Domini presieduta dal Vescovo Carlo Bresciani.
Durante l’omelia il Vescovo Bresciani ha detto: “La memoria dell’ultima cena di Gesù con i suoi apostoli sta al centro della liturgia di questa sera. Una cena tutta particolare per i gesti che in essa Gesù ha compiuto e per quello che ha voluto dire ai suoi apostoli e, certamente, in modo indiretto a ciascuno di noi. Ha parlato dell’amore che deve muovere e dà senso alla vita, e alla vita del cristiano in modo particolare, e ha compiuto gesti che hanno mostrato dal vivo che cosa intendesse Gesù per amore.
Ha parlato soprattutto di un nuovo comandamento: quello della necessità che ci si ami gli uni gli altri come lui ha amato noi. Non era certamente la prima volta che parlava dell’amore. Allo scriba che gli chiedeva quale era il comandamento più importante confermò che esso era amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi. La novità nell’ultima cena è che Gesù completa quel comandamento mettendo come paragone dell’amore non se stessi, ma Gesù stesso. Dice, infatti, ai suoi apostoli “come io vi ho amato”. Il termine di paragone per capire che cosa significhi amare è l’amore di Gesù stesso, vale a dire come lui l’ha vissuto. A questo punto “amore” non è più una parola a cui si può dare il contenuto che si vuole: non tutto ciò che viene indicato come amore lo è veramente (come è vero ciò, se guardiamo a come questa parola oggi è usata e abusata!), ma solo quando si realizza in quel “come io vi ho amato”.
Non si tratta di una missione, quella di amare come lui ci ha amati, che vale solo per gli apostoli o solo per i cristiani, di più, si tratta di un comando che non ha nulla a che fare con una imposizione assurda, in qualche modo imposta, senza della quale si potrebbe vivere benissimo comunque. No, si tratta di ciò che è indispensabile alla vita di ciascuno, perché si possa vivere davvero una vita buona. Si tratta semplicemente dell’unica realtà che dà senso alla vita, così come ha dato senso e orientamento a tutta la vita di Gesù.
Gesù però, in quella cena, non si limita a dare saggi e bei insegnamenti parlando con grande intimità e confidenza con i suoi apostoli, sapendo che si tratta dell’ultima cena, prima della sua morte in croce. Fa molto di più e mostra, diremmo dal vivo dandone l’esempio, che cosa intenda quando ha detto “come io vi ho amato”. Quel “come” lo rende chiaro con due gesti sorprendenti che gli apostoli hanno memorizzato profondamente e mai più dimenticato, perché avevano destato anche in loro molta sorpresa e molto stupore. Due gesti con i quali ci ha dato l’esempio, gesti che anche noi questa sera ripeteremo.
Il primo gesto: lava i piedi ai suoi apostoli. Lo sappiamo bene, si tratta di un gesto molto simbolico, cioè carico di grandi significati e che dice che l’amore vero non teme di abbassarsi a gesti semplici e umili per il bene degli altri. Lavare i piedi non è il gesto della superiorità e del potere, ma quello del servizio, cioè del servo, meglio dello schiavo. Gesto non imposto, nessuno gliel’ha chiesto, ma scelto liberamente, come si addice all’amore.
Il secondo gesto: “prese il pane, lo spezzò… prese il calice del vino…. Fate questo in memoria di me”. Sappiamo bene che è il gesto eucaristico, da cui scaturisce la nostra eucaristia: lo ricordiamo infatti come l’istituzione dell’eucaristia.
Quel “fate questo in memoria di me” dobbiamo però collegarlo ad “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”, perché anche questo è un gesto che vuol spiegare cosa intende Gesù quando dice di amarsi gli uni gli altri. Non si tratta, infatti, solo del comando di celebrare il rito eucaristico (cosa tutto sommato molto semplice), ma del fatto che l’eucaristia si compie in pieno quando anche noi facciamo come lui ha fatto, cioè amandoci fino al punto da donarci totalmente per amore degli altri. Egli, infatti, per amore ha donato il suo corpo e il suo sangue. L’eucaristia per questo è il sacramento dell’amore, il culmine e il vertice della vita cristiana.
La vita cristiana raggiunge la sua pienezza, quando anche noi facciamo come Gesù. Forse dovremmo dire, con un po’ più di umiltà, quando cerchiamo di fare anche noi come ha fatto Gesù. L’ultima cena di Gesù sta al vertice e al culmine della sua vita donata per amore: noi celebriamo l’eucaristia per prendere da lui l’esempio, la forza, il coraggio e la grazia di vivere come lui ha vissuto l’amore. L’unica meta della vita, infatti, è crescere sempre più nell’amare “come lui ci ha amati”.
Di fronte a questo, le tante chiacchiere sull’amore di cui il mostro mondo è pieno, si manifestano per quello che sono: semplici e dannose mistificazioni, parole prive di contenuto vero. Quanto male, quante ferite si stanno facendo in nome di ciò che si ammanta di amore, ma è tradimento, falsità, doppiezza di vita e incapacità di rinuncia alla propria soddisfazione e al proprio egoismo: tutto ciò provoca solo ferite all’altro. Ciò non dà vita a sé e non dà vita all’altro.
Solo l’amore “come lui ci ha amati” è vero e dà vita. Questo noi celebriamo e chiediamo celebrando l’eucaristia; questo noi chiediamo al Signore questa sera e questo celebriamo nella Pasqua. Una eucaristia celebrata senza tendere a un amore simile, è celebrazione svuotata del suo significato più profondo. Solo da un amore così vissuto scaturisce la vita vera. Apparentemente sembra portare alla morte, come è stato con Gesù, ma è solo il travaglio del parto di una vita rinnovata e autentica.
Chiediamo questa sera a Gesù, nostro Signore, di poter crescere sempre più in questo amore, anche noi come i suoi apostoli in ascolto della sua parola e interiormente partecipi del significato che la lavanda dei piedi e lo spezzare il pane portano con sé.
Lo facciamo ora continuando la santa messa e lo faremo dopo in adorazione silenziosa dell’eucaristia davanti all’altare solennemente preparato per questo“.
Dopo l’omelia si è tenuto il rito della lavanda dei piedi.
Al termine della liturgia eucaristica, il Santissimo Sacramento è stato riposto nel tabernacolo, dove i fedeli hanno potuto adorarlo. Come previsto dalla liturgia del Giovedì Santo, l’altare è stato spogliato.
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