Di Nicola Salvagnin
Quasi fosse una breve in cronaca, nelle scorse settimane era emersa dalle pieghe del bilancio statale una notizia di quelle capaci di spettinare 60 milioni di italiani; di rendere calvi chi li governa. C’è un buco di (almeno) 45 miliardi di euro nei conti pubblici. Ed è destinato ad allargarsi: di molto, e non si sa di quanto.
È il frutto del cosiddetto superbonus edilizio 110%, varato dal secondo governo Conte per fronteggiare i danni economici provocati dalla pandemia: prevedeva la copertura integrale delle spese di efficientamento energetico di un edificio. Era stata prevista una (notevole) spesa di 40 miliardi di euro circa. Ad oggi siamo a 135 e fino a pochi mesi fa si pensava (lo pensava la Ragioneria generale dello Stato) che non avrebbe superato i 100.
Questa la ragione sottesa e principale della recente manovra economica autunnale del governo Meloni, una robetta di qualche miliardo spostati di qua e di là anche per dare impressione che qualcosa si faccia, si possa ancora fare. In realtà non c’è un euro; peggio: bisognerà richiederne parecchi alle tasche degli italiani. Insomma tagli e tasse, le cose che più odiano fare e subire governanti e governati.
Se ne parlerà dopo le elezioni europee di giugno, ci mancherebbe. Però poi qualcosa bisognerà pur inventarsi, perché la spesa è senza copertura e non si può addossarla sopra la montagna del debito pubblico, già ben frequentata ultimamente dagli imponenti fondi che abbiamo chiesto in prestito per il Pnrr.
Intanto si corre ai ripari. Rubinetti chiusi da qui in futuro (addio sconto in fattura e trasferimento crediti d’imposta), che rimarranno parzialmente aperti solo per le zone sismiche e solo fino al raggiungimento di un plafond di spesa di 400 milioni. Inezie.
Cala dunque il sipario su una misura fiscale che ha sì dato fiato all’economia italiana prostrata dal crollo provocato dalla pandemia, ma se c’è stata ripresa, questa è dovuta anche ad un’edilizia che ha corso a perdifiato in questi tre anni. Ora si rischia il violento contraccolpo, come quando si sottrae un potente stupefacente a chi ne è dipendente.
Già oggi l’economia è sostanzialmente ferma, con una “crescita” stimabile nello zero virgola qualcosa. Tutte le speranze ora si riversano sulla spinta che darà la seconda fase dell’impiego dei fondi Pnrr da qui al 2026, soprattutto quelli legati alla realizzazione di grosse infrastrutture. Anche se la prima fase si è rivelata finora alquanto deludente, e il prossimo autunno si prospetta una generosa spremuta delle nostre tasche per riequilibrare un bilancio pubblico che attualmente appare fuori controllo. Cosa verrà tagliato? A chi verrà chiesto di più?
Si aprono le scommesse su un’ipotesi: tra Reggio e Messina si continuerà ad andare in traghetto…