(Foto AFP/SIR)

Sono trascorsi sei mesi da quel tragico 7 ottobre. Sono trascorsi 180 lunghi, interminabili giorni in cui la Terra Santa è stata travolta da sofferenze che mai avrei potuto immaginare. Sin dai primi giorni abbiamo sentito che la violenza e l’odio avevano raggiunto livelli dolorosi, carichi di vendetta. Sicuramente non era prevedibile che la guerra potesse interrompere bruscamente il continuo lavoro per favorire una convivenza pacifica fra le persone e l’impegno ad educare alla pace le nuove generazioni.

Kibbutz Be’eri (Foto Sir)

Rispondere al male con la preghiera. La Terra Santa in questi sei mesi ha vissuto tempi e liturgie in modo più forte e più coinvolgente. Sin dal primo mese di guerra i numeri dei morti e dei feriti è salito in modo vertiginoso. Il 2 novembre abbiamo ricordato tutti i defunti, aggiungendo chi aveva perso la vita in guerra, senza voler essere parte di questa assurdità. Abbiamo pregato per chi era ancora sotto le macerie e per chi era morto per strada senza essere stato soccorso, in solitudine e senza sepoltura. Il clima triste è proseguito nel tempo dell’Avvento, tempo forte che soprattutto a Betlemme dava un senso alla speranza dei cristiani locali, privati del lavoro per la mancanza dei pellegrini e della speranza del futuro per i propri figli. L’avvicinarsi del Natale non è stato sentito come in altri anni che, anche se difficili per la situazione socio-politica, era vissuto con la gioia dell’arrivo di Gesù, Principe della Pace, in modo più sereno. Le immagini di morte, della distruzione di case, di ospedali, di scuole, di chiese e di moschee, la mancanza di un rifugio sicuro a Gaza non potevano darci la gioia piena per l’arrivo del Salvatore. La celebrazione della Notte Santa ha visto i betlemiti uniti nella preghiera nella Chiesa di Santa Caterina, che negli anni precedenti era affollata di pellegrini provenienti da tutto il mondo. Ricordo i volti e gli occhi tristi dei cristiani locali pregare commossi in attesa della pace tanto desiderata.

(Foto Ibrahim Faltas)

Segno di speranza. Sono stati 6 mesi di notizie, di immagini, di numeri che non avremmo mai voluto vivere e che neanche una breve tregua è riuscita a cancellare. Un importante segno di speranza è stato l’arrivo in Italia di 160 persone, bambini, adulti e accompagnatori per essere curati negli ospedali italiani. Sono grato e riconoscente per il sostegno e la generosità del popolo italiano. La Quaresima ci ha portato a cercare la speranza nel percorso doloroso della Via Crucis, che abbiamo voluto percorrere come via della Pace per camminare nella fede e dare luce al futuro dei nostri bambini e ragazzi. Lungo la Via Dolorosa abbiamo pregato Dio per i nostri fratelli che a Gaza soffrivano la fame, la sete e ogni mancanza di dignità e di rispetto per la vita.

Abbiamo chiesto di renderci ‘apostoli’ vigili, attenti, aperti al prossimo e non piegati all’egoismo e alla sfiducia.

Le celebrazioni del periodo pasquale si sono susseguite con la cadenza e i tempi, nei luoghi dove tutto è avvenuto. Alla tristezza di fare memoria della Passione e Morte di Nostro Signore, si è aggiunta l’incertezza e la solitudine. A volte alle funzioni religiose erano presenti più celebranti che fedeli. Ai piedi della Croce, abbiamo portato le sofferenze delle madri e le abbiamo affidate a Maria Addolorata. Gerusalemme vuota e senza pellegrini, con i pochi cristiani locali e l’assenza dei cristiani della Cisgiordania, è stata l’immagine che si è aggiunta alle immagini tristi della guerra devastante per la Terra Santa.

In questa Terra vivono popoli che da troppo tempo sentono la stanchezza della paura, la tristezza dell’incertezza, la delusione e la mancanza della fiducia.

Continuiamo a implorare la Pace, a chiedere maggiore dialogo e responsabilità, a pregare che questa guerra finisca definitivamente e che il popolo di Dio riacquisti la speranza nel prossimo e nel futuro.

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