Nel video Nedo Tiburtini, delegato Caritas a Grado
A Grado si è aperto il 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, centrato sul tema “Confini, zone di contatto e non di separazione”. Per la diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto è presente una delegazione composta da: Don Gianni Croci, Fernando Palestini, Nedo Tiburtini e Marco Sprecacè.
L’evento annuale, che quest’anno riunisce 600 delegati rappresentanti di 218 Caritas diocesane, si è aperto l’8 aprile, e si concluderà l’11 aprile.
Proponiamo di seguito la riflessione di Don Gianni Croci, Direttore Caritas: “Le esperienze danno credibilità alle parole.
Attraversare la frontiera dentro quella che può essere considerata una stessa città, Gorizia per la parte italiana e Nova Gorica per la parte slovena, e sentire nella Concattedrale la testimonianza di giovani italiani e sloveni che parlano di confine come zona di contatto e non di separazione ed annunciare con entusiasmo che il prossimo anno le due città saranno insieme capitale europea della cultura, è stato sicuramente un momento in cui si è toccata con mano la speranza.
È stato davvero bello ascoltare dei ragazzi e delle ragazze che sanno apprezzare la differenza vissuta, non come elemento di separazione, ma come possibilità di arricchire l’approccio alla complessità e al mistero della storia che stiamo vivendo. Ci ha fatto bene ascoltare queste voci proprio in questo tempo in cui è stato sospeso il trattato di Schengen e sono stati ripristinati i controlli sia pure, in questo caso, in una forma discreta.
Grazie agli interventi di esperti, alle testimonianze delle varie caritas europee, in questo convegno che si tiene a Grado, stiamo riscoprendo il confine come zona di contatto e non di separazione, porta che permette di uscire e di entrare, piuttosto che muro che divide e respinge, possibilità di incontro fraterno e non di scontro tra popoli che le guerre stupidamente fanno credere nemici.
La riflessione sui confini porta a riflettere anche sulla vita della comunità cristiana e della stessa Caritas in quanto c’è sempre il rischio, come ci ha ricordato don Matteo Pasinato, di «confinare» cioè di “chiudere l’altro dove lui è, e chiudere me dove io sono” mentre un buon metodo è «confidare», rinchiudere nell’altro qualcosa di mio (un segreto, un dono, una presenza che parla). Il problema non è il confine ma ciò che si muove tra i confini. Non si tratta allora di abolirli ma di farne spazi di incontro e luoghi di scambio di doni.
Molto interessante è stata la provocazione di Mons. Carlo Maria Radaelli, presidente di Caritas Italiana e vescovo di Gorizia: “Concludo con un terzo punto che riguarda un confine che tutti noi, impegnati nella Caritas, cerchiamo ogni giorno di superare, quello tra noi, operatori e volontari, e quelli che papa Francesco chiama gli “ultimi”.
Un confine che c’è, perché comunque siamo in due situazioni diverse per certi aspetti non superabili: chi aiuta e chi ha bisogno di aiuto non sono nella stessa condizione. Però è un confine in qualche modo da superare. Un piccolo suggerimento: quello di meditare alcune pagine del Vangelo, spostando però i ruoli. Mi spiego. Quando si riflette sulla parabola del giudizio finale di Matteo 25, è spontaneo pensarsi dalla parte di chi viene giudicato dal Signore per quanto ha fatto o non fatto a favore dell’affamato, dell’assetato, dello straniero, dell’ammalato, ecc. E se invece ci pensassimo noi come gli affamati, gli assetati, gli stranieri, gli ammalati, ecc.? …. Mettersi dall’altra parte del confine della povertà e del bisogno può essere una buona idea per farlo diventare luogo di contatto”.