Non si accosta al dolore con incoraggiamenti generici e consolazioni sterili, ma ne accoglie il dramma, lasciandosene toccare”.
A sottolinearlo è stato il Papa, che ha incentrato il discorso rivolto alla Pontificia Commissione biblica, ricevuta in udienza, su due “parole decisive: compassione e inclusione”. La Sacra Scrittura, ha osservato Francesco, “non ci lascia un prontuario di parole buone o un ricettario di sentimenti, ma ci mostra volti, incontri, storie concrete. Pensiamo a Giobbe, con la tentazione dei suoi amici di articolare teorie religiose che collegano la sofferenza con la punizione divina, ma si infrangono contro la realtà del dolore, testimoniata dalla vita di Giobbe stesso. Così la risposta di Gesù è vitale, è fatta di compassione che assume e che, assumendo, salva l’uomo e ne trasfigura il dolore”.
“Cristo ha trasformato il nostro dolore facendolo suo fino in fondo: abitandolo, soffrendolo e offrendolo come dono d’amore”, ha sintetizzato il Papa: “Non ha dato risposte facili ai nostri perché, ma sulla croce ha fatto suo il nostro grande perché”. “Toccare con mano la sofferenza umana, concretamente, con umiltà, mitezza, serenità”, l’invito sull’esempio di Gesù. “Il Signore desidera che si risani la persona tutta intera, spirito, anima e corpo”, il riferimento all’inclusione: “C’è una risanazione totale: corpo, anima e spirito”.